martedì 19 gennaio 2016

CROSTATA FRANGIPANE ALL'ARANCIA, TALISKER E CIOCCOLATO

crostata frangipane al Talisker


Singapore, martedì 19 gennaio
GN
Settimana degli Agrumi

Mese dell'infiltrazione d'acqua sotto il pavimento
Semestre del quadro elettrico che salta
Anno del Vaffan... in tutte le lingue.

E in singhlish, di più.
 


CROSTATA FRANGIPANE AL CIOCCOLATO, ARANCIA E TALISKER

frangiarancia




per la frolla


300 g di farina macinata a pietra

200 g di burro

100 g di zucchero

1 uovo intero

scorza grattugiata di un'arancia non trattata


per il ripieno


100 g di cioccolato fondente al 70%

150 g di marmellata di arance (quella di Aurelia, per esempio)

50 ml di Talisker o altro whisky torbato


per la frangipane alla panna


200 g di farina di mandorle

200 ml di panna liquida fresca

200 g di zucchero

2 uova

un po' di whisky (lo stesso utilizzato per la marmellata)

scorza d'arancia per aromatizzare


cioccolato fondente e scaglie di mandorle per decorare


stampo con fondo estraibile, 24-26 cm di diametro.


Quelle che vedete nella foto sono le crostatine fatte per il consumo domestico, con quello che era avanzato dalla torta principale, destinata ai colleghi. Le dosi bastano e avanzano per uno stampo classico, ma potete anche usarne uno quadrato o rettangolare. Non vi metto le misure, perchè di solito quelli con il fondo estraibile sia rettangolari che quadrati sono standard: sarebbe meglio il fondo estraibile, perchè è di una comodità mai vista e oggi si trova con relativa facilità. Ricordatevi sempre di imburrarlo e infarinarlo prima di stendere la frolla.


per la frolla

se impastate a mano:

una regola fissa sull'ordine degli ingredienti non esiste: di solito, si dice che se si comincia dal burro e dallo zucchero si prepara una "pasta sabbiata" (orribile traduzione per "sablé"), ma ciò importa, in verità, sono due cose

1. il burro, che deve essere freddo di frigo

2. la lavorazione, che deve essere breve.

Mettete la farina sulla spianatoia, aggiungete il burro a tocchetti e con la punta delle dita (una volta, si diceva "come se contaste i soldi) incorporate l'uno all'altro, in modo da avere un impasto sbriciolato. Aggiungete lo zucchero, la scorza grattugiata dell'arancia e l'uovo intero e impastate velocemente, meglio se con le mani fredde (basta tenerle un po' sotto il getto dell'acqua del rubinetto e poi asciugarle).

Tutta questa rapidità di esecuzione serve solo a non far "bruciare" il burro, cioè a non surriscaldarlo troppo, con il calore delle mani. Se prendete l'abitudine di impastare a mano (che è la cosa migliore, per questo tipo di impasti), ve la sentirete sotto le dita, la pasta che dice di essere pronta: deve rimanere asciutta e piuttosto dura.

Di solito, nella frolla si mettono solo i tuorli: gli albumi servono per renderla più croccante. Questa è la ricetta di mia nonna e vi assicuro (ma ormai ho un sacco di testimoni) che viene morbidissima. Il segreto, secondo me, sta nel non farla cuocere troppo, tirandola fuori dal frigo forno quando è solo leggermente dorata.

Per quanto riguarda il riposo, è meglio stenderla nella teglia e poi lasciarla in frigo a riposare. Anche questo, non è scritto da nessuna parte, nasce solo da una considerazione empirica, per cui è probabile che a livello teorico sia una scemata. Ma per rendere nuovamente malleabile la frolla indurita dal frigorifero, ho sempre corso il rischio di scaldarla troppo: per cui, la lavoro velocemente sulla spianatoia, la stendo col mattarello, la sistemo nello stampo imburrato e poi la metto in frigo, il tempo di preparare il ripieno.

Altra cosa: con un solo uovo, vi sarà difficile stendere la pasta con un solo colpo di mattarello. Di solito, si rompe. Aiutatevi con le mani, nei punti dove non riuscite ad arrivare con un'unica sfoglia, sempre con la stessa avvertenza: lavorate poco e velocemente. E semmai, tenetela in frigo un po' di più, almeno mezz'ora.


se impastate nel robot:

i robot da cucina sono come i mariti: ognuno conosce il proprio, per cui è inutile che mi metta a discettare del come e del perchè, in merito a cose che non so. L'unico consiglio che posso darvi è trasversale, nel senso che vale per tutti: assemblate gli ingredienti nel robot, fino a quando l'impasto diventa "bricioloso". E poi, passate sul piano di lavoro e finite a mano. Eviterete il rischio del surriscaldamento, che con le macchine è più insidioso che a mano.


per la cottura in bianco:

10 minuti, a 170 gradi, forno statico.

rivestire la pasta con un foglio di carta da forno e disporvi sopra tanti fagioli secchi

un trucco per non far ritirare i bordi dallo stampo è tenerlo in freezer per una mezz'oretta e poi passarlo direttamente in forno caldo: questo vale specialmente per i gusci che prevedono un'intera cottura in bianco. In tutti i casi: provatelo e non ve ne pentirete

Una volta sfornata, togliere i fagioli e la carta da forno e, senza sformare, lasciar raffreddare per pochi minuti.


per la farcia
Mentre cuoce la frolla, sciogliere il cioccolato a bagnomaria e stenderlo sul fondo della crostata.

Dopodichè, in un casseruolino dal fondo spesso, far sciogliere la marmellata, con un bicchierino di whisky.

Io ho usato una delle mie marmalades, from Perfida Albione, con tanto di giuramenti solenni sulle etichette che di Sevilla Oranges trattasi e non di tarocchi :-) ma va bene qualsiasi altra marmellata di arance, purchè ottima. Non abbiate paura di immolare il pezzo forte della collezione della dispensa in questa torta, perchè la cottura non ne uccide il sapore ed anzi, l'effetto finale gioca in gran parte su quella. Quindi, fatevi coraggio e procedete.


Per quanto riguarda il whisky, in origine sarebbe dovuto essere un whisky normale. Solo che quando saccheggio dalla riserva indiana di mio marito, prendo sempre la prima bottiglia che trovo e stavolta sono incappata in quello. E' un whisky piuttosto torbato, tant'è che sul momento ero un po' perplessa: temevo che il retrogusto finisse per prevalere sul resto e che il marito si accorgesse dell'ennesima spillatura della bottiglia sbagliata. In realtà, è quelllo che fa la differenza. Per cui, cercatevi un whisky di questo tipo- e poi sappiatemi dire.


Per quanto riguarda la frangipane, io la preparo con la panna al posto del burro. Non è la ricetta originale, non troverete mai nulla di simile su nessun testo di cucina. Ma siccome il burro nelle creme mi dà fastidio e ogni volta devo sostuirlo con altri ingredienti analoghi, è facile che mi orienti sulla panna: nel caso della frangipane, la mia versione è più luquida, ma si rapprende ugualmente, con la cottura.Volendo, potete aromatizzare con un goccio di whisky e/o scorza d'arancia grattugiata: per me, è qui che è d'obbligo il #silovoglio



Versare sul cioccolato la marmellata col whisky, lasciata raffreddare, avendo cura di riempire completamente lo strato, fino a metà guscio. Versare sopra la frangipane e infornate a 180 gradi per 20 minuti circa. Qualora la frangipane non si fosse ancora rappresa, dopo questo tempo, stendete sulla superficie della torta un foglio di alluminio e proseguite la cottura per altri 5 minuti.

Non preoccupatevi se, quando estrarrete la torta dal forno, la frangipane non sarà completamente rassodata: lo farà dopo, col raffreddamento. Piuttosto, preoccupatevi che i bordi della frolla non scuriscano. Se vedete che ciò accade, mettete subito il foglio di alluminio.

Per le crostate che vedete in foto, ho usato una farina macinata a pietra, risultato di uno degli ultimi bottini di Eataly: è più scura da cruda e da cotta assume un brunito più intenso.

mercoledì 13 gennaio 2016

GIORNATA NAZIONALE DEI BACI DI DAMA- LA RICETTA DI CASA MIA

Singapore, mercoledì 13 gennaio
GN dei Baci di Dama
Settimana del Maiale

Lo so che siete tutti qui per sapere come siano andate le prove del coro, ieri sera.
E so anche che siete tutti mossi da un interesse nobile e spassionato e sincero.
Lo stesso che stamattina appena alzati vi ha spinto a controllare il moto dei monsoni,qui a Sud Est.
O il bollettino dei morti e feriti della polizia di Sing Sing
O, più semplicemente, a mandare contriti "pat pat" sulla spalla del malito della signo-lah, in segno di vicinanza e di affetto. 
Ma vi racconto tutto domani.
E non solo perché stamattina son successe cose che da sole basterebbero a nutrire questo blog per le due settimane a venire. 
Ma anche perché oggi è la Giornata Nazionale dei Baci di Dama, secondo il Calendario del Cibo -AIFB e ditemi voi come potevo esimermi dal partecipare.
e con le ricette che pubblico qui.

1. BACI DI DAMA,ricetta classica
Son Piemontese per nonna paterna- mandrogna, ad essere precisi. 
Il mio genovesissimo nonno aveva sposato una signora dell'Alessandrino, una gran brava donna, mite ed impaurita, vittima designata di una serie infinita e sfaccettata di angherie della parte più nobile e ricca della sua famiglia.
In una famiglia normale, questo avrebbe probabilmente comportato una serie di faide in puro stile Busallas (la Dallas di provincia, ognuno fa quello che può)
In casa nostra, no.
Noi, avevamo smussato gli angoli,grazie alla parte britannica di mia mamma, che aveva provveduto a metterli subito tutti in ridicolo, e al sarcasmo tranchant di mio padre: essere sopravvissuto alla più infelice delle infanzie infelice, avendola anzi trasformata in una palestra di grinta e di  determinazione, lo rendeva impermeabile a qualsiasi altra stoccata potesse arrivargli da quella parte di parenti,eredità tardive comprese.

Ne era derivato un lessico familiare fatto di formule fisse, per cui alla parola "Piemontesi" si finiva sempre per aggiungere qualche epiteto inglorioso, sotto il quale finiva tutto l'aplomb materno. Dal "non-sono-tutti-così" al "ti-sentono-le-bambine",tutte le aveva provate, mia mamma- e tutte invano. 
Al minimo accenno di accento, partiva il ghigno.
E non c'era neanche più bisogno di aggiungere altro.

Nello stesso tempo, in Piemonte ci si andava -e pure spesso e volentieri.
Intanto, perchè c'erano i parenti "poveri"-e quindi cari e buoni e simpatici e calorosi e gentili. Le loro case erano per davvero le nostre case- e lo sono ancora oggi, ogni volta che andiamo a trovarli.
E poi perchè c'era un amore viscerale per una regione che i miei genitori ammiravano in tutto e per tutto: dalla "spesa grossa" alla montagna, dal giro per vetrine alla domenica delle sagre, dal fine settimana alla scoperta di pezzi di storia patria che si mescolavano con quella familiare a lente battute di pesca nei fiumi-il Piemonte era tutto e molto di più.
E lo era anche in cucina, in quelle ricette meravigliose che provenivano da una parente adottiva e che per noi rappresentavano una scoperta: il piccante, l'agrodolce, il pungente- ma anche sapori che si intersecavano con sensazioni nuove, con il cioccolato che avvolgeva e il profumo del vino che inebriava.Se mai dovessi fissare un luogo di nascita per la mia passione per il cibo, è sul Piemonte della mia infanzia che metterei la bandierina. 
Quasi tutte le ricette piemontesi che ho condiviso provengono  da questa tradizione familiare: l'unica codificazione è nel DNA del mio gusto e nella memoria dei miei ricordi, che aggiunge sempre un tocco in più a questi piatti. 
Questo vale anche per i Baci di Dama.
So che esistono decine di versioni, ma i "nostri" son questi.
E questi vi toccano, che vi piaccia o no
Ma son sicura che vi piaceranno :-)

BACI DI DAMA
ricetta- base


200 g di farina debole
200 g di farina di nocciole
200 g di burro freddo, a tocchetti
200 g di zucchero

Mettete tutti gli ingredienti in una ciotola e impastate con lapunta delle dita, come per fare una frolla. 

GUAI a lavorare troppo l'impasto, perchè se lo si surriscalda, "si brucia" il burro e addio.
E' anche per questo che è meglio lavorare solo a mano,senza robot o impastatrici:le mani"sentono" quando è il momento di fermarsi, le lame no.
 
Una volta mischiati bene tutti gli ingredienti, mettete l'impasto in frigo a riposare. E' pronto quando il burro si è un po' indurito: non tantissimo, perché altrimenti dovreste scaldarlo di nuovo con le mani per renderlo lavorabile, e saremo di nuovo ai punti di prima. Quel tanto che basta, tutto qui.

Prendete una teglia da biscotti, foderatela con carta da forno e disponetevi tante palline, di circa un cm. di diametro, un po' distanziate le une dalle altre: io non li faccio troppo gross e in una teglia ne faccio stare circa un'ottantina.

A rigore, il riposo dell'impasto andrebbe fatto in questa fase, perché il burro, con la lavorazione e il calore della mani, si ammorbidisce di nuovo: ma se avete de frigoriferi normali, la teglia non entra: per cui, lavorate velocemente il composto, meglio se con la punta delle dita, e bagnatevi spesso le mani con acqua fredda ( e poi asciugatele) ed il problema è risolto.

Secondo step: la cottura
Modalità statica, temperatura bassa. 160°C, nel mio forno ma, nel dubbio, meglio abbassare che alzare.
Se vi si spatasciano, è anche per questo, perché vanno cotti a temperatura bassissima: 140-150 gradi al max, dipende dai forni, per un quarto d'ora, venti minuti.

Vanno tirati fuori ancora friabilissimi e lasciati all'aria a raffreddare: in questo modo, prendono la loro consistenza caratteristica, che va di pari passo con il loro sciogliersi in bocca.
E' chiaro che dovete fare un po' di prove: io vi direi di cominciare a 140 non ventilato, per 15 minuti e di stare a vedere. Non aumentate la cottura oltre i venti minuti, però, perché altrimenti diventano duri- buoni, ma più sul tipo degli amaretti, che non dei baci di dama.
Non toccateli in nessun modo, prima che si siano raffreddati completamente.

Dopodiché, fate sciogliere a bagnomaria un po' di cioccolato fondente al 50% e spennellatelo  su entrambe le metà dei baci di dama: in questo modo, vi verrà un ripieno bello spesso e il cioccolato si sentirà di più. Unite le due metà e lasciate solidificare il cioccolato. Dopodiché, sono pronti.
Migliorano col riposo, ma solo se conservati ermeticamente: la vecchia scatola di latta per i biscotti va benissimo.

Ad oggi pomeriggio, per le altre versioni
Alessandra



 

martedì 12 gennaio 2016

CESTINI DI LENTICCHIE CON MOUSSE DI MORTADELLA




Singapore, martedì 12 gennaio
GN della Mortadella
Settimana del Maiale

Il primo grande lampo di genio del 2016, che ha illuminato le tenebre cerebrali della sottoscritta, è aver capito che l'unico modo per sopravvivere alla metropoli della giungla è vivere come un'Inglese.
Bella scoperta- diranno tutti quelli che mi conoscono: lo sono inside dalla nascita, stronzaggine compresa, c'era bisogno di arrivare a Singapore per capirlo?
Peggio ancora- è la risposta:ci ho messo un anno a rendermene conto. 
Ed è anche per questo che, ad illuminazione avvenuta, ho deciso di recuperare il tempo perduto, fiondandomi a pesce sulla cosa più British dell'universo mondo
Che non è né una collezione di improbabili cappellini in tinta pastello, né una fornitura di patatine fritte aromatizzate alla panna acida&alla cipolla e neppure 10 metri quadri  di moquette idrorepellente per il bagno. 
Nossignori.
La "cosa-più-inglese-del-mondo" è cantare in un coro.
E quindi, da stasera, la Van Pel canta.
Tutte arie d'opera italiana, tutte intonate con gli accenti che solo chi è nato in terra d'Albione sa modulare.
Quando si dice un programma da urlo.
Mi sento come la moglie dell'ispettore Barnaby.
E d'altronde...
La guida a sinistra, c'è.
I bus a due piani,pure.
I cottage, ci sono.
Le piogge, finora, ad abundantiam.
E per i cadaveri, datemi tempo: scaldo l'ugola- e poi vi aggiorno :-)

E già che di "voci" si parla, oggi la GN della Mortadella di Bologna, celebrata con tutte le fanfare che merita dal Calendario del Cibo- AIFB, ha come ambasciatrice la bolognese del mio cuore, Francesca Carloni, del blog Burro e Zucchero. Il suo articolo è quanto di più completo & scorrevole si possa leggere in materia, per cui se amate questo prodotto e/o se volete saperne di più, è qui che dovete andare.
Io partecipo con una vecchia ricetta, delle tante che dovrei ripubblicare su questo blog, preparata per un capodanno e rifatta, di tanto in tanto, in qualche cena invernale. Più facile a farsi che a dirsi e un po' lunga da scriversi,, per cui bando alle ciance e cominciamo


CESTINI DI LENTICCHIE CON MOUSSE DI MORTADELLA

per 24 cestini
200 g di lenticchie lessate
1 cucchiaio di olio extravergine di oliva

2 rametti di rosmarino
la punta di un cucchiaio di concentrato di pomodoro
sale e pepe
1 uovo


In una padella, insaporite le lenticchie in olio, rosmarino e una punta di concentrato di pomodoro, stemperata in mezzo bicchiere di brodo o di acqua caldi. Lasciate evaporare tutto il liquido, salare, pepare e far rafreddare completamente.
Dopodichè, unitee l'uovo e amalgamare bene il tutto

per preparare i cestini

Per fare i cestini, sono indispensabili 24 pirottini piccoli e una teglia da mini muffins. Io ho qualcosa di molto simile a questa
image from here

Accendete il forno a 180°C, modalità statica

Sistemate un pirottino in ogni cavità dello stampo

Versatelo nel pirottino un cucchiaino di lenticchie e, col dorso del cucchiaino, fatelo aderire ai bordi del pirottino, dandogli l forma di un cestino ( e con questo, ho esaurito tutti i diminutivi della giornata...). Cercate di dargli la forma che vedete nella foto: nè i bordi nè il fondo devono essere troppo sottili.

Infornate per un quarto d'ora e lasciate intiepidire per una decina di minuti.

Poi, estraete i cestini, lasciandoli nei loro pirottini. 

Quando si saranno perfettamente raffreddati, potrete staccarli, facendo un minimo di attenzione a non romperli. Non è un'operazione difficile: l'importante è che siano a temperatura ambiente.

I cestini vanno preparati con un po' d'anticipo: non troppo, perchè il rischio è che si asciughino e perdano in morbidezza. L'ideale sarebbe 2-3 ore prima, ma anche la mattina per la sera. In questo caso, però, conservateli in frigorifero, protetti con pellicola trasparente. 

Nel frattempo, preparate la mousse di mortadella

150 g mortadella di Bologna
100 g mascarpone
50 g burro pomata
50 ml di panna fresca liquida non montata
sale

Tritate finissima la mortadella.
Montate con le fruste elettriche, in una terrina, il Mascarpone con la panna e il burro, fino ad ottenere un composto spumoso.
Amalgamatevi con una spatola la mortadella tritata
Regolate di sale
Coprite con pellicola trasparente e tenete in frigo fino al momento dell'uso.
Lasciatela a temperatura ambiente per mezz'ora, prima di utilizzarla e, se vi pare il caso, montatela ancora un po' mescolando vigorosamente con una frusta a mano oppure con le fruste elettriche. 

Assemblaggio
Dopo aver rimontato la mousse, mettetela in una tasca da pasticcere (la scelta della bocchetta è libera) e riempite la cavità dei cestini. Decorate a piacere, con mostarda o pistacchi e disponete sul piatto da portata.

Se dovete farcire grandi quantità e giocoforza dovete portarvi avanti col lavoro, potete stabilizzare la mousse con la gelatina.
Si sciolgono 2 g di colla di pesce, precedentemente ammollata in acqua fredda e ben strizzata, in poca panna, portata quasi al punto di bollore. Poi, con il solito procedimento del freddo nel caldo, si aggiunge qualche cucchiaio di mousse alla panna e si amalgama bene: in questo modo, si evitano choc termici e la colla di pesce non si raggruma. Dopodichè, si unisce tutto il resto della mousse, si mescola bene e si mette in frigo. Al momento dell'utilizzo, la si spatola bene, in modo da restituirle morbidezza, e poi si procede all'assemblaggio. In questo modo, potete farcire con anticipo i vostri cestini e tenerli anche fuori dal frigo per qualche tempo, certi che "reggeranno"

- per quanto riguarda l'assemblaggio, invece, lo si può fare anche due ore prima dell'arrivo degli ospiti.  Mettete la mousse in una tasca da pasticcere, bocchetta liscia o zigrinata, come preferite e riempite le cavità dei cestini. Decorate a piacere, con mostarda o con pistacchi e disponete sul piatto da portata


L'occasione buona
- sono un must nei menu di Natale e Capodanno, ma non sfigurano nei buffet d'inverno o d'autunno. Potete sostituire alla mostarda dei pistacchi tritati, che con la mortadella si sposno perfettamente

Quante prepararne
Anche se van giù come ciliegie, sono piuttosto pesanti. Se le servite come semplice aperitivo, a precedere un pranzo completo, non più di due a testa. 
se invece fanno parte di un buffet più ricco, da un minimo di un pezzo e mezzo a un massimo di due pezzi. 
per esempio, in un buffet per 24 persone, d un minimo di 36 a un massimo di 48. 
Per eseperienza, nelle cene in casa mi attesto sempre sui "valori minimi"; nei buffet, sui massimi.

Quanto costano?
Relativamente poco: le lenticchie sono un cibo povero e potete trovare una buona mortadella a prezzi ragionevolissimi. Tenendoci "larghi", potrebbero essere 5 euro in tutto, che diviso 24 fa poco più di 0.20 cent. a pezzo. 
La "porca figura", ovviamente, non ha prezzo...

lunedì 11 gennaio 2016

QUEL CHE RESTA DEL PORCO- SETTIMANA DEL MAIALE


miserevoli resti di un filetto di maiale alla senape con patate al forno

Sia  detto senza tema di smentita.
Se non fosse per il maiale, la sottoscritta non mangerebbe carne. 
Non ho detto che sarei vegetariana- e neppure pesciariana,come la mia amica Tamara. 
Dietro a una scelta del genere, c'è un concorso di motivazioni etiche che mi trovano d'accordo a metà, considerato che se di rispetto per gli esseri viventi si parla, allora bisogna rispettarli tutti e non solo alcuni, piante comprese.
Se pensate che le piante non soffrano, non avete visto le mie.
E neanche avete visto me, asfaltata dai sensi di colpa, che mi coccolo il prezzemolo ammosciato o il basilico rattrappito, affogandoli nell'acqua che mi son dimenticata di dar loro tutti i santi giorni- due volte al giorno, facendo fioretti a Madre Natura, che se sopravvivono, giuro che non lo faccio più.
Intendo dire: se dovesse applicare questo metro alla mia etica alimentare una come me, che battezza le aromatiche e intavola lunghe discussioni con la palma dell'ingresso, si nutrirebbe d'aria.
Non che questa non sia un 'ipotesi da scartare, sia chiaro, perchè i suoi vantaggi li ha. A me risolverebbe il problema del sovrappeso, per dire. 
E a mio marito, quello della moglie
"#Finalmentezitta"-  già me lo vedo, come epitaffio.
E comunque, tornando all'argomento, se non fosse per il maiale, bla bla bla.
Perchè a me, la carne non piace.
Ma il maiale...
Nemmeno. 
O meglio:non mi piace il maiale che sa di carne: non mi piace la coppa, non mi piace la spalla, non mi piacciono le interiora e, da quando sono qui, non mi piacciono le orecchie, neppure se fatte fritte e presentate sotto forma di chips.
Ma se parliamo di parti magre, come la lonza e il filetto, e soprattutto di salumi, allora il discorso cambia, e di brutto.
Io, una volta, mi son mangiata un salame intero, per dire.
E un'altra volta mezzo culatello.
Piccolo, ma sempre mezzo era.
E sorvolo sulle infinite notti passate a dire "non lo faccio più", attaccata alla canna del rubinetto, con una lingua simile a una millefoglie di carta vetro- o ai brufoli del giorno dopo,che se già erano esecrabili a 15 anni, figuratevi a 50. 
Ma tant'è.
Datemi un maiale-e me lo mangerò subito.
E non c'è blog che tenga....

Allora: lunedì 11 gennaio, II settimana del Calendario del Cibo Italiano AIFB, tutta dedicata a Sua Maestà il Maiale, rappresentato in tutta la sua maestosità da His Majestic Corrado Tumminelli. Il suo articolo è imperdibile, per cui lasciate perdere tutto quello che state facendo, compresa la lettura di queste pagine, per correre qui a bearvi di tutta la storia, ufficiale e ufficiosa, di uno dei grandi protagonisti della gastronomia italiana. 
Poi però tornate da queste parti :-)

considerata la passione, prevedo più contributi durante la settimana. Per cui li divido per due- e iniziamo con questi
Lonza al caramello salato con salsa all' arancia e zenzero
Arrosto di maiale al Calvados  con composta di  di mele e uva



 

sabato 9 gennaio 2016

BUDINO DI SEDANO RAPA alla curcuma CON SALSA MONTATA ALLE DI CIME DI RAPA



Singapore, 9 gennaio 2016
Settimana degli Avanzi
GN del Sedano Rapa

L'assenza di ben due giorni dagli schermi di questo blog è stata dovuta ad una felice combinazione di eventi, iniziati con la sollevazione delle assi del parquet nel pavimento di camera nostra e culminati con il solito black out ad intermittenza che è una delle costanti della nuova casa di Sing Sing.
Nulla in confronto all'impennata verso l'alto della carriera di mio marito che, proprio in coincidenza con il primo anniversario della sua permanenza da questa parte del mondo , ha ricevuto la nomina più attesa, più invidiata e più ambita.
Quella per la quale ha investito tutte le sue energie, appena fuori dall'ufficio.
Quella per la quale sono stati sacrificati TUTTI i sabati pomeriggio, nessuno escluso, compresi anche quelli che cadevano nelle feste comandate, nella stagione delle piogge e nei voli scontati.
Quella per la quale si sono studiati diagrammi di flusso, piani regolatori, grafici, schemi e tabelline
Quella per la quale sono improvvisamente sparite tutte le idiosincrasie per robe tipo uazzap e i gruppi di FB e alla quale sono state sacrificate tutte le conversazioni domestiche, a meno che non vertano sull'argomento
L'altro ieri, GIORNATA INTERNAZIONALE DELLO SBARCO DEL MALITO DELLA SIGNO-LAH A SING SING, il suddetto malito è stato nominato Organizzatore Unico del Calcetto degli Italiani a Singapore.
E con un incarico del genere, me lo dite voi come si fa a chiamare l'amministratore del condominio? 
E ora scusate se passo subito alla ricetta- ma ho Obama su uazzap che chiede se gli trovano un posto in squadra, sabato prossimo...

BUDINO DI SEDANO RAPA ALLA CURCUMA
CON SALSA MONTATA ALLE CIME DI RAPA

Novantanove su cento non interesserà a nessuno, ma da questa ricetta ha avuto origine lo Starbook: che è un progetto meraviglioso, ora in temporaneo stand by, in cui un gruppo di blogger prova tutti i mesi le ricette di un libro di cucina, così come sono scritte, senza aggiustamenti in corsa- e poi fa le sue valutazioni finali, senza farsi sedurre dalle mode, dalle immagini e dalla grafica più o meno figa. Se le ricette riescono e sono buone, il libro è valido e acquistarlo ha un senso. Altrimenti, è meglio lasciarlo dov'è.
Prima dello starbook, c'era la frustrazione, tipica di chi investe denaro ed energie in qualcosa che poi non riesce. E se è già abbastanza desolante dover fare i conti con i propri limiti, figuratevi quanto lo è quando le istruzioni per l'uso (perchè queste sono le  ricette, nella loro accezione più stretta) sono del tutto sbagliate. 
A suon di frustrazioni, ero approdata a questo piatto, apparso su una rivista come "aspic di sedano rapa al curry con pesto di cime di rapa" e declinato con una serie di ingredienti che già allora, senza l'esperienza di questi ultimi anni, mi avevano fatto inorridire: quantità abnormi di gelatina, abbinata per giunta all'agar agar, "un cucchiaino di curry", scritto proprio così, più altri dettagli che ora non ricordo più: quel che resta nella memoria era la sublime inca...tura della sottoscritta che, al culmine dell'esasperazione, si era attaccata al telefono e alle mail, in cerca di amiche altrettanto stufe.
Il resto è storia e, come dicevo, si chiama Starbooks
Chi ne ha fatto le spese è questa "povera" ricetta in cerca di nome- perchè Aspic non è ma budino neppure- che però merita di essere riesumata dai meandri dei miei archivi perchè non è affatto male: rispetto all'originale, ho ridotto la gelatina, eliminato l'agar agar, sostituito il "curry" con un po' di curcuma e altre lievi modifiche in  corso d'opera ma, se vi piace il sedano rapa, è un ottimo escamotage per presentarlo in modo raffinato e, come dicevo, gustosissimo.
 Perfetto per sostenere la GN DEL SEDANO RAPA del CALENDARIO del CIBO ITALIANO -AIFB, affidata al bravissimo Fabio Grassi come Ambasciatore.





per 4 persone
1 sedano rapa da circa 600 g
1 porro
300 ml  di panna fresca, liquida
la punta di un cucchiaino di curcuma
4 fogli di colla di pesce
300 g d foglie e cime di rapa mondate
2-3 acciughe, dissalate e diliscate
1 spicchio d'aglio
1 peperoncino secco
olio extravergine d'oliva 
sale
pepe
qualche fiore lessato delle cime di rapa per decorare

Mondate e  sbucciate il sedano rapa, lavatelo, asciugatelo e tagliatelo a dadini: tagliatelo in 4 e poi ancora in 4 e lessatelo in acqua fredda leggermente salata per 15 minuti:  scolatelo quando è appena tenero.
Nel frattempo, fate stufare il porro (solo la parte bianca).
Lavatelo molto bene sotto l'acqua corrente (attenti perchè il porro è infido e la terra si annida ovunque), poi affettatelo sottilmente e fatelo insaporire in padella, in poco olio caldo. Salate, mescolate, abbassate la fiamma e mettete il coperchio: fatelo cuocere per 10 minuti in questo modo, aggiungendo un mestolino d'acqua se dovesse asciugarsi troppo. Deve disfarsi in una crema.
A questo punto, unite il sedano rapa e coprite a filo con acqua:mantenete il fuoco basso e portate a cottura:di solito ci vogliono 20 minuti, ma è una variabile che dipende dal tipo di sedano, da quanto grossi sono i pezzi in cui lo avete tagliato, da quanto è durata la lessatura etc: il consiglio è sempre il solito, di non cucinare solo con i mezzi della tecnologia, ma anche con quelli che vi ha fornito madre natura: per cui, scoperchiate, osservate, annusate, toccate e, se è il caso, assaggiate pure (senza rimetterci la lingua: attenti che brucia!).
A cottura ultimata, frullate tutto col minipimer e poi passate al setaccio: mettete il purè così ottenuto in un colino a maglie fini, sopra una terrina e, mescolando con un cucchiaio, "passate" ancora: otterrete una crema liscia e vellutata.
Stemperate la curcuma in due cucchiai di panna e aggiungetela alla purea. Se preferite un sapore più speziato, aggiungete ancora un po' di curcuma o di altre spezie come il pepe o il cumino, macinati fini. Non esagerate, però, perchè il budino viene servito con un pesto molto pungente (aglio e acciughe): il pizzico di curcuma serve solo a ravvivare il sapore del sedano rapa, che in questa preparazione è un po' spento.
Ammollate la colla di pesce in acqua fredda. 
Scaldate il resto della panna, fin quasi a bollore, poi levate dal fuoco e aggiungetevi la colla di pesce, ben strizzata:scioglietela mescolando vigorosamente con un cucchiaio, poi aggiungetela alla purea in questo modo: 
prendete un cucchiaio di purea, mettetelo nella casseruola con la panna e mescolate. Poi aggiungete un altro cucchiaio di purea, e mescolate di nuovo-e via così, fino alla fine.
Mai- mai-e-poi-mai aggiungere la panna calda di colpo, al composto freddo:lo choc termico farebbe raggrumare subito la gelatina, col riscio di dover rifare tutto daccapo. 
Ungete leggermente degli stampini monoporzione e distribuitevi la purea di sedano rapa. Lasciate in frigo a rassodare per almeno 4 ore. 
Per il  finto pesto di cime di rapa: 
lavate e mondate le cime di rapa e tagliatele a pezzetti. 
Fate scaldare un filo d'olio, in un'ampia padella, e aromatizzatelo con uno spicchio d'aglio sbucciato. Quando è caldo, ma non bollente, scioglietevi le acciughe (meglio 1 o 2, se usate quelle sotto sale, 3-4 filetti se usate quelle sott'olio), mescolando bene, a fuoco basso. Poi versatevi le cime di rapa, fate insaporire a fiamma viva, abbassate il fuoco e portate a cottura, a recipiente coperto:non è il caso né di aggiungere sale (ci sono le acciughe), né acqua (ci pensano loro, a sudare a sufficienza). Scolatele quando sono appena tenere, lasciatele intiepidire, poi frullatele (anche con lo spicchio d'aglio). 
Mettete il trito così ottenuto nel bicchiere del minipimer e frullate di nuovo, aggiungendo olio a filo







Fare un soffritto con un filo di olio, l'aglio tritato, il peperoncino e le acciughe, aggiungere le foglie e le cime di rapa tagliate a pezzi, qualche cucchiaio di acqua e cuocere per dieci minuti. Frullare il tutto, regolare di sapore e passare la crema ottenuta al setaccio. Montarla con un frullatore ad immersione, versando olio a filo quindi tenere da parte
Distribuire la crema a specchio sui piatti, sopra sformare gli aspic ci sedano rapa, decorare con i fiori di cime di rapa, un filo d'olio e servire.







lunedì 4 gennaio 2016

G.N. DEGLI INVOLTINI DI VERZA E SETTIMANA DEGLI AVANZI




Singapore, 4 gennaio 2016
Giornata Nazionale degli Involtini di Verza
Settimana degli Avanzi

L'argomento di oggi, secondo il calendario del Cibo Italiano- AIFB , sarebbero  gli Avanzi.

Capitolo immenso della storia della cucina italiana, tant'è che gli si dedica una settimana intera, alla ricerca di tutte le grandi ricette del riciclo, molte delle quali si sono rivelate così buone ed azzeccate da essersi imposte autonomamente, facendo dimenticare al resto del mondo di avere un origine che nobile non è.

( qui mi verrebbe in mente qualche paragone VIP, ma ho idea che non sia lusinghiero paragonare Kate Middleton a una polpetta o l'ex personal trainer oggi marito di Vittoria di Svezia a un riso al salto, per dire)

Non potendo rischiare una querela già di lunedì mattina, quindi, sarà meglio virare l'argomento sulle solite note domestiche, nel caso ci sia qualcuno che muoia dalla voglia di sapere che fine fanno gli avanzi in casa Van Pelt.

In quell'altra casa, finivano nel frigo, belli imballati, etichettati, impacchettati.

Dove stavano fino a quando si riusciva ad aprire lo sportello senza stramazzare al suolo, colpiti da zaffate mefitiche di resti umani in decomposizione: a quel punto, si passava alla pronta disinfestazione, eseguita il più delle volte a naso tappato, occhi chiusi e bocca aperta solo per dire "cheschifo-cheschifo-cheschifo"., con una coraggiosa apnea che durava dal frigo alla rumenta, compresa anche quella condominiale "in un sacchetto anonimo, ti prego, che poi coi Nas me la devo vedere io...".

Ovviamente, al mancato risparmio del riciclo si aggiungevano altri danni supplementari come il contenitore di plastica (di solito l'unico munito di regolare coperchio), il metro di alluminio/pellicola trasparente trasformatosi in un sudario, l'etichetta, l'inchiostro, l'elettricità per mantenerlo così a lungo nel frigo e, buon ultimo, il litro di aceto utilizzato per disinfestare la zona. Che si sa che, nell'emergenza, non si bada a spese: e come ha pulito l'aceto balsamico al mirtillo nero di montagna neanche un esercito di Mastri Lindi& Signore Luise, altro che...

Del freezer, parliamone.

Una volta che avevo voglia di scherzare, ad un'amica che chiedeva suggerimenti su che marca acqistare, avevo detto che io possedevo uno Schliemann: il riferimento era agli strati archeologici che si formavano fra ogni avanzo e l'altro, la cui unica differenza, rispetto agli originali, riguardava il materiale:là era terra, qui era ghiaccio. Ma l'effetto "civiltà sepolta" era lo stesso.

Io non lo so, che cosa usciva da quel freezer ogni volta che dovevo sbrinarlo.

Ho passato interi quarti d'ora a chiedere "chi sei?" ai miserevoli resti che via via venivano riportati alla luce; ho sgranato interi rosari, a raccattare centinaia di pisellini incastrati fra i ripiani; sono arrivata addirittura a servire un gelato al porro, lontana com'ero anni luce dal giorno in cui congelai la base di una vichyssoise in una vaschetta di gelato alla crema, pensando che intanto mi sarei ricordata dello scambio.

Siccome però odio gli sprechi tutti- e sommamente quelli del cibo- non riuscendo a domare la disorganizzazione che è in me, l'avevo aggirata con una serie di manovre strategiche che consistevano nel cucinare di meno, quando non c'erano ospiti, e nell'allestire un  take-away in cucina, per gli invitati.
Il secondo caso, aveva fatto contenti tutti: gli amici che si ritrovavano con il pranzo pronto per il giorno dopo e io che in cambio avevo frigo e coscienza puliti.


Il primo caso è stato un po' più drammatico, perchè a casa mia cucinare di meno non significa mangiare di meno ma spendere di più e alla lunga non so se è convenuto: quello che so, comunque, è che da quando non lavoro più fare la perfetta donna di casa mi riesce meglio- riciclo degli avanzi compreso.
E chi vuole intendere, intenda...

Ragion per cui,  beccatevi questa signora ricetta, con la quale partecipo alla PRIMA SETTIMANA DEL CALENDARIO DEL CIBO ITALIANO,dedicata al CIBO DEGLI AVANZI e affidata a Cinzia Martellini Cortella.
Oggi ricorre anche la G.N. del Caponet o degli Involtini di Verza,  di cui è Ambasciatrice Ottavia Bielli : se volete recuperare storia e ricette e leggervi un articolo di una bellezza stracciacuore, l'indirizzo è quello giusto.

* anno nuovo- problema nuovo: il font che sto utilizzando per scrivere qui sopra risulta di non facile lettura sui dispositivi o ai miopi.
Però,senza un font che mi piaccia, io non scrivo.
Ho visto cosa è successo nei mesi passati e, d'altronde, non mi stupisco: se non ho le penne e i quaderni che mi vanno bene, non scrivo neppure la lista della spesa.
Quindi, aiutatemi a cercare qualcosa che funzioni per voi ma anche per me: perchè il Times New Roman mi prosciuga la vena, al solo vederlo....

GRATIN DI GNOCCHI DI PROSCIUTTO IN SALSA MORNAY AI FUNGHI



Ecco: per fare questi gnocchietti qui, ho riciclato gli avanzi della sera prima- e fin qui ci siamo.
solo che per far fuori 30 gnocchetti avanzati ho prodotto quanto segue
- mezzo litro di Mornay
- due albumi
- mezzo cartoccio di panna
- una manciata di funghi secchi reidratati e ora mollicci
e qualche altra cosa che ora non ricordo più.
Ma che di sicuro mi verrà in mente.
Devo solo aspettare di svenire, davanti allo sportello del frigo

una salsa mornay preparata facendo una bechamelle densa (30 g di burro, 30 g di farina 300ml di latte) a cui ho aggiunto 125 ml di  panna fresca liquida, un tuorlo grande e una bella manciata di Parmigiano reggiano. Ho profumato con una generosa grattugiata di noce moscata e regolato di sale.
Ho imburrato leggermente due stampi monoporzione, li ho velati con un cucchiaio di Mornay e ho disposto gli gnocchetti in un unico strato. Ho aggiunto un trito finissimo  qualche porcino secco, (avanzato anche questo da qui), precedentemente ammollato in acqua tiepida e ben strizzato e ho coperto con la Mornay. Altra noce moscata e un po' di pepe e via in forno, a 200°C, per 15 minuti, fino a completa doratura.
Il risultato che vedete in foto è stato portato in tavola alle 20.30
Quello che vedete qui è stato fotografato alle 20.35
 C'è bisogno che aggiunga qualcosa sulla loro bontà- o ci siamo capiti?

(gli gnocchi di pasta choux sono un buon modo per valorizzare avanzi di salumi e di formaggi, un po' diverso dai soliti ripieni; la mornay è una bechamelle ricca che permette di recuperare i tuorli avanzati e i fondi della panna)
Con  questa ricetta partecipo alla Settimana degli Avanzi, del Calendario del Cibo Italiano-AIFB, affidata a Cinzia Martellini Cortella, autrice di questo splendido approfondimento sul tema.




domenica 3 gennaio 2016

GIORNATA NAZIONALE DEI CAVATELLI





Singapore, domenica 3 gennaio
Giornata Nazionale deiCavatelli






Non è vero che qui a Sin Sing non esistano le stagioni.
Le stagioni ci sono- e sono pure quattro, come nel resto dell'universo mondo.
Si chiamano solo diversamente, tutto qui.
Abbiamo la stagione del CALDO.
Poi quella del PIU' CALDO.
Poi quella del CALDISSIMO.
E, infine, quella delle PIOGGE.
Che è la stagione nella quale siamo immersi ora, fino al midollo.



Per avere idea di che cosa si intenda qui, per stagione delle piogge, dovete immaginarvi di stare sotto una serie ininterrotta di secchiate d'acqua, col caldo. 
Una specie di gavettone estivo, per capirci, con due sole differenze
1. la prima è che non finisce
2. la seconda, è che sei vestito.

Superfluo aggiungere che la somma delle due costanti dà un unico risultato- cioè un umore di merda. 
Ma visto che è superfluo, non ne parliamo.


Oltre alle costanti, esistono poi le variabili che, nella fattispecie, sono date dal fatto che il malito della signo-lah odia gli ombrelli, tutti- e la signo-lah ama le ballerine, tutte- e quelle in pelle umana di più. 


Quindi prendete i 4 giorni di pioggia, l'umore di merda, l'idiosincrasia per gli ombrelli e l'amore per le ballerine in pelle umana-e immaginatevi la scena....


Sabato 2 gennaio, uscita della metropolitana dopo la spesa settimanale.
Una trincea di borsine -e un muro d'acqua di fronte. 
"Aspetta che apro l'ombrello"
"No, vado senza"
"Ma figurati se vai senza...viene giù il mondo"
"Ho detto che vado senza. Anche perchè sotto il tuo ombrello in due non ci stiamo"
"Beh, non è vero che non ci stiamo: ci stringiamo e ci stiamo"
(qui è partita una mezz'ora di calcoli geo-ergonomici per farmi capire che il diametro dell'ombello unito alla curva delle stecche non era compatibile con la misura delle nostre spalle, circonferenza seno della sottoscritta compresa-e ve la risparmio tutta, anche l'ultima parte)
"intanto, ho il cappellino"


Il cappellino è l'ultima fornitura antipioggia, regalo dello scorso Natale della cleatu-lah, incapace di resistere alle lusinghe di una cloche artigianale che campeggiava in una vetrina di Arab street: secondo lei, meritava di finire sul capo dell'augusto consorte, "perchè è rossoblu". Secondo me, sarebbe stato meglio lasciarla dov'era: perchè provate ad immaginare cosa significhi girare per Singapore accanto ad un quintale di marito, sul cui capo troneggia questa roba qui...



Per inciso, non è neppure impermeabile.
Ma ormai è solo un dettaglio.


Ovvio che, dovendo affrontare da solo la pioggia, munito solo del cappellino, l'impavido dovesse concentrare tutte le sue forze sull'impresa-e non potesse portare le 789028300 borsine della spesa settimanale
Quelle, le abbiamo lasciate alla moglie. 
Che, intanto, aveva l'ombrello.
E il fatto che abbia solo due mani, è un altro dettaglio su cui è meglio non soffermarci.
Non prima che abbia finito il Tachiflu, intendo...

Oggi sul Calendario del Cibo Italiano di AIFB si festeggia la Giornata Nazionale dei Cavatelli, a cui non contribuisco per acclarata assenza di manualità: ma ci pensano Patty e i soci che partecipano attivamente alla festa con le loro ricette, a celebrare questo piatto come merita. 
Qui invece si va in Brasile, con un flan facilissimo, che sembra una crème caramel, ma è mooooolto, mooooolto, moooolto più semplice da realizzare- e altrettanto buono.