mercoledì 24 settembre 2014

TORTA DI RISO "NON CARRARINA" PER L'MTC N. 41


 Elenco dei motivi per cui questa torta di riso NON va confusa con la torta di riso della Lunigiana, comunemente detta "carrarina".

1. perchè è una torta di famiglia di un mio collega, di cui mi sono innamorata al primo morso (della torta, non del collega)

2. perché quando ho chiesto al collega la ricetta, lui, anziché obbedire prontamente, ha alzato gli occhi al cielo e ha risposto con un minaccioso "ma lo sai quante uova ci sono, lì dentro?", lasciandomi sola nel travaglio della curiosità e del peccato di gola (quello che avevo intenzione di commettere, più e più volte, se solo il maledetto avesse sganciato la ricetta)

3. perchè, quando finalmente son riuscita ad elaborare quanto di più simile a questa torta, ho commesso tutta una serie di sbadataggini- fra cui dimenticarmela una notte in forno spento, convinta di averlo acceso al minimo- che sono poi state codificate come "trucchi perchè riesca", perché a casa mia, una volta su due, funzona così. 

4. in ultimo, perchè l'ho adattata alla sfida.

E ora, vediamo chi sarà quello che scriverà per primo nei commenti "ma non è una carrarina!"


per 2 teglie da 22 cm cad
300 g di riso lessato, del tipo Originario o Roma
300 g di zucchero
1 litro di latte
12 uova
1 bicchiere di liquore Strega
la scorza di un'arancia non trattata 
un pizzico di sale
burro per ungere la teglia


Di solito, lesso il riso in acqua e sale, poi ne peso 300 g e procedo come da ricetta: questa volta, invece, ho seguito le indicazioni di Annalena e son partita da 300 g di riso originario, che ho fatto prima sbianchire per un minuto in acqua bollente e poi, dopo aver scolato e sciacquato, ho rimesso in pentola, coperto di latte bollente. Ho aggiunto lo zucchero, ho portato a cottura a fiamma bassa, ho lasciato che il latte si concentrasse in una crema e solo allora ho pesato il riso. 
O meglio: ho rinunciato a pesarlo. 
Perchè 300 g di riso lessato in acqua non corrispondono a 300 g di riso crudo
Ergo, il peso finale di 300 g di riso lessato in acqua e poi nel latte non è uguale a quello di 300 g di riso crudo lessato direttamente nel latte. 
Quando l'ho capito, il neurone era così affaticato che ha passato il testimone all'occhio: e così ne ho messi da parte due cucchiai, per l'esperimento n. 3 e sono andata a spanne, per così dire.

Di solito, la carrarina si fa stendendo il riso lessato in teglia e versandoci sopra il composto rigorosamente non montato di uova, latte, zucchero, liquore e aroma. Io, invece, metto tutto assieme, secondo una ricetta che avevo trovato nel Righi Parenti: riso lessato nel latte e zucchero, uova sbattute leggermente, liquore, scorza d'arancia e altri aromi (la scorza di limone ci andrebbe d'ufficio, per dire). Mescolo bene e verso in teglia. 
Dopodiché, faccio riposare in frigorifero per una notte. 
Questo, non è scritto da nessuna parte: ma è il frutto di un errore, quando pretendevo che la torta si cuocesse, in forno spento. 
Dalla disperazione del "mi tocca buttare via tutto" son passata a un "boh, senti, proviamo lo stesso" a un "da ora in poi, lo farò sempre", da tanto era migliorato il risultato finale. 
L'unico accorgimento è di natura igienica: il riposo avviene rigorosamente in frigorifero, dopo che la teglia è stata sigillata con pellicola trasparente. 
La cottura è a 90°C, modalità statica, per 3 ore come minimo: questo era l'altro segreto che ero riuscita a carpire al collega, che si era lasciato scappare che era andato a dormire alle due del mattino, dietro a quella torta.
Mi raccomando: anche se a fuoco bassissimo, deve cuocere bene, anche all'interno.
L'ultima volta che ero di fretta ho servito una torta di riso che si sfaldava nella teglia, a dispetto di una apparente compattezza, e che, naturalmente, faceva caghèr: tenetela in forno anche un po' di più, intanto non brucia.
Altro accorgimento: di solito, io la sformo,a differenza della carrarina tradizionale. Il motivo va ricercato nel fatto che mescolo tutto assieme e quindi il riso dà struttura; nella versione originale, il riso resta sul fondo e sopra salgono le uova, per cui il passaggio dalla teglia al piatto da portata può rivelarsi pieno di insidie.
In questa versione, ciò che sale in sulerficie è uno strato che ha la vischiosità di un caramello semiliquido, dall'intenso sapore di arancia.
Vi assicuro che, a dispetto delle modifiche anche scellerate che ho fatto, questa è una delle torte migliori che abbia prodotto in questi anni senza blog: un altro mio collega se ne è fatto fuori metà prima che riuscisse a collegare le orecchie al cervello e a realizzare che anziché dare i numeri, stavo ricordandogli la quantità di uova che c'era lì dentro.
Il consiglio, quindi, è di tagliarsene un pezzetto e pregare il parente più prossimo di nascondere il resto, in luogo misterioso e inaccessibile. Sempre che non se la mangi tutta lui...

ai celiaci, ovviamente, perché la torta è completamente senza glutine

a chi ama i dolci di riso perché, questa volta, "si sente"

ai fautori del riciclo degli avanzi: l'ho preparata anche col basmati pilaf avanzato dalla sera prima e la sua porca figura l'ha fatta anche lì

non è propriamente una torta da "chiudi-cena-chic" e non perchè non si presenti bene, ma perchè è piuttosto pesante. andrebbe meglio come conclusione di un pranzo, in teoria a base di portate leggere, in pratica chisseneimporta: ho in mente un tripudio di carboidrati, in uno degli ultmi incontri masonesi, con focaccia al'aperitivo, pasta coi ciliegini e il basilico e la ricotta come piatto forte e non so quanti assaggi di torte salate che si è concluso con questo dolce qui- e vi assicuro che non si è lamentato nessuno. Un liquore o un vino da meditazione è d'obbligo.

martedì 23 settembre 2014

BOUNTY ALLA CREMA DI RISO PER L'MTC N. 41


Prima che partano le raffiche di mitraglia: gioco fuori concorso. 
Però, gioco. 
E, diciamocela pure tutta, gioco come se fossi una concorrente, con lo stesso spirito di una concorrente: per imparare quello che non so, per approfondire quello che so e per avere finalmente una scusa per spingermi un po' oltre i libri di cucina e dar voce alla mia fantasia, che intanto, se va male, è "colpa dell'MTC".
In più, c'è tutta la intricata questione del giudizio finale (quello tutto maiuscolo, sia chiaro:-): perchè è vero che qualche volta rifaccio le ricette, ma solo perchè mi piacciono, mi incuriosiscono, mi entusiasmano: ma questo non significa penetrare nei meccanismi della gara, ma solo coglierne i frutti. 
E vi assicuro che non è la stessa cosa. 
Tanto per fare un esempio concreto: per il mio livello di conoscenze, questa sfida sul riso sarebbe dovuta durare almeno tre mesi. Perchè io sono "fortissima" con la cottura nel latte; muovo i primi passi con il pilaf; e guardo da lontano il metodo dell'assorbimento. 
Per mille motivi, tutti legati alla mancanza di tempo, mi son trovata costretta a sceglierne uno: e visto che, per altrettanti mille motivi, ultimamente sono costretta ad eseguire in modo pedissequo, in cucina, e assai poco a seguire le inclinazioni della mia fantasia, ho deciso di buttarmi sul metodo che conosco meglio e provare a divertirmi un po'. 
Al momento, le produzioni ammontano a tre, ma quella che avrei voluto far partecipare alla sfida è la quarta: diciamo che son tutti riscaldamenti a bordo campo. 
Nella speranza di riuscire ad entrare in partita ;-)


BOUNTY ALLA CREMA DI RISO
(RICE BOUNTY)

Tutta colpa della Fede Bertuzzi e dei suoi bounty veloci, che mi si sono ficcati in testa a mo' di chiodo: e mettiamoci anche l'amarcord dell'infanzia felice, in cui i Bounty costituivano la trasgressione esotica, in un paese dove la merenda a scuola era il Buondì motta e quella a casa il pane e olio e la Nutella era concessa in dosi minime, in quelle maledette confezioni da cibo per gatti anoressici, che si iniziavano con la paletta di plastica e si finivano con la lingua, perchè tutto era accettabile, a quell'età, ma lasciar la Nutella negli angoli, no.
 In più, la mia infanzia è il riso e latte.  
Che a Genova è l'equivalente sommesso della focaccia. 
Quella, la mangiamo per strada. 
Questo, ce lo mangiamo in casa, al riparo da sguardi indiscreti, quando non c'è il tempo per il minestrone e il pesto, alla sera, è indigesto. Ma è nel nostro DNA, tanto quanto. 
E così, ci ho pensato un po' su  ed ecco cosa ho fatto

per circa 30 bounty

100 g di riso originario
500 g di latte fresco intero
1 lattina (400 g) di latte di cocco
70 g di cocco disidratato
100 g di zucchero

300 g di cioccolato fondente di copertura (io Valhrona, 70%)

Metodo utilizzato: cottura al latte

Sbianchite il riso facendolo scottare un minuto in acqua bollente: scolatelo, passatelo sotto l'acqua fredda e mettetelo nuovamente in pentola, coperto di latte bollente; aggiungete lo zucchero, mescolate bene e lasciate cuocere a fiamma bassissima fino a quando il latte si sarà completamente assorbito e i chicchi saranno gonfi e morbidi e avvolti da uno strato di crema. 
Scolatelo dalla pentola con un cucchiaio e lasciatelo intiepidire. 
Nel frattempo, scaldate quasi a bollore il latte di cocco, in una pentola capiente, e versatevi delicatamente il riso: mescolate e fate cuocere a fiamma bassa ma a recipiente scoperto, mescolando quasi di continuo. 
Quando il latte di cocco si è quasi completamente assorbito, aggiungete il cocco disidratato, mescolate energicamente e spegnete il fuoco. 
Versate il riso su carta da forno, livellatelo con una spatola e lasciatelo intiepidire. 
Inumiditevi le mani e modellate l'impasto in tanti salsicciotti, larghi max 2 cm: dopodiché, con un coltello, ricavatene tanti tronchetti, di lunghezza variabile da 3 a 6 cm. 
disponeteli su un vassoio, anch'esso rivestito di carta da forno, e teneteli in frigo da un'ora a una notte oppure in freezer per almeno mezz'ora. 
Il cioccolato andrebbe ovviamente temperato: io me la sono raccontata, sciogliendone metà a bagnomaria e poi aggiungendo l'altra metà a fuoco spento, facendola sciogliere nel cioccolato fuso, mescolando spesso. Sarebbe un metodo veloce, che no avevo mai provato finora e che necessita di un bel po' di affinamento, anche perchè il risultato mi ha soddisfatto per metà: nessuna patina bianca (essossoddisfazioni), ma sulla lucidità, abbiamo ancora da lavorare (astenersi battute cretine in merito: il soggetto è sempre il cioccolato)
 Anyway: 
appena il cioccolato è pronto, disponete i tronchetti di cocco su una gratella, sopra un foglio di carta da forno. dopodichè, chiudete gli occhi :-) e versate il cioccolato come se non ci fosse un domani. Raccogliete con una spatola quello che cade sul fondo e andate avanti, fino a che i vostri Bounty saranno rivestiti di uno strato piuttosto spesso: questo è uno strappo alla fedeltà all'originale, il cui "perché" va ricercato nel contrasto fra l'effetto "crunchy" della copertura e la morbidezza del ripieno. D'altronde, gli originali mica hanno il riso nel ripieno, no? 
Lasciateli raffreddare a temeperatura ambiente e poi teneteli in frigo, fino al momento di servirli. Si possono anche conservare in freezer.

agli amanti del cioccolato
ai nostalgici degli anni Settanta
ai celiaci
ai "dammene ancora uno, che intanto è fatto in casa"
ai sussiegosi delle praline
e ai piccoli e terribili micini neri, che devono ficcarsi in testa che non tutto è commestibile, meno che mai quando deve raffreddare fuori dal frigo

implicita nella ricetta. 
ho preparato anche dei "tartufi", di forma rotonda e sono altrettanto carini. 
Per quanto riguarda il ripieno, potete arricchirlo con una goccia di rum bianco, una spruzzata di lime oppure, per un gusto più morbido, con della scorza di limone. La copertura può essere variata (il cocco sta benissimo anche con il cioccolato bianco, per dire): tenete conto che il riso non si sente, alla fine: dà solo densità all'impasto (e in questo è una variante più sana del burro, posto che di ricetta sana si possa parlare, con una roba così)
Serviti a fine pasto, dopo il caffè, assieme ai liquori o regalati ai vostri ospiti al momento del congedo,  in confezioni fatte da voi (ne bastano tre, magari di forme diverse o con cioccolati diversi), diventano il suggello più goloso per un invito a cena. Ovviamente, sono perfetti per i regali di Natale. 
A domani, con la ricetta numero 2
Ale

lunedì 22 settembre 2014

POMODORINI CONFIT



...che poi, forse, il problema non è cuocere 20 pomodorini in 500 g di burro.
Il problema è che cosa mi sia frullato nella testa, per scegliere proprio questa ricetta, nelle decine e decine di mirabilia dello Starbook di settembre.
Ma qualcosa mi dice che sia meglio andare a leggere qui...
Anziché farsi troppe domande....

giovedì 18 settembre 2014

LO STRUCOLO TRIESTINO PER IL "THE RECIPETIONIST"


Il The Recipetionist è uno dei motivi che mi hanno convinta a ripartire con il blog. 
Perchè è il contest che avrei voluto inventare io, se solo fossi stata come la Elisa Baker. 
Che è la persona più trascinante, più altruista, più generosa che mi sia capitato di incontrare, da parecchio tempo a questa parte. 
E che ha inventato una gara ritagliata su misura su queste sue qualità. 
Obbligare la blogsfera a rifare le ricette di un blog, ogni mese, significa infatti cogliere il vero senso del nostro essere qui, sul web.
Che non è quello di "una ricetta e via", ma quello più consapevole e meditato di una condivisione a 360°, che includa il nostro sapere, ma anche le nostre emozioni, i nostri affetti e- da qui- il  desiderio di rendere parte di una porzione della nostra storia privata anche gli amici che abbiamo incontrato sul web. 
Per questi motivi, far circolare le ricette nella rete ha un senso profondo, che va al di là delle mode del momento, che ci vedono tutti come buoi dietro al carro di questo o quel piatto: imponendo una selezione personale, il the Recipetionist ci rende ogni volta protagonisti, anche se sotto i riflettori c'è un blog che non è il nostro e ci coinvolge con tutto il nostro essere e che rende ogni scelta diversa dalle altre, anche quando magari riguarda lo stesso piatto: perchè diverse sono le motivazioni che ci hanno spinto verso quella preparazione e non verso un'altra, esattamente come diversi- e quindi unici- siamo noi che ci divertiamo con un blog di cucina, anche se unica è l'etichetta di foodblogger che ci accomuna. 

Come ho già detto, avrei partecipato al The Recipetionist, indipendentemente dal vincitore che avrei incontrato, la mia prima volta. 
"una ricetta sola", mi ero detta, "basta essere costanti". 
Poi, ho sbirciato il verdetto. 
E ho subito capito che i buoni propositi, con me, finiscono all'alba. 
Perché impormi di scegliere una ricetta sola, di fronte a quel tripudio di gemme che forma l'indice del blog di Mari- Lasagna Pazza era una roba contro natura, a cui non intendevo nè intendo sottostare. 
Il motivo è presto detto: perchè Mari è una sorta di matrioska del melting pot. Intanto, vive a Trieste, città che per ragioni storiche e geografiche è diventata un crocevia di popoli e di culture diversissime fra loro, punto d'incontro della Mitteleuropa e punto di fusione delle tradizioni slave con quelle austriache e con quelle italiche. 
Poi, perchè la storia personale di Mari parla la stessa multiculturalità, per giunta nelle lingue a me più affini: il coup de foudre, qui sul web, è avvenuto grazie alla sua nonna genovese, che poi trovò marito nel Basso Piemonte, secondo una tradizione collaudatissima nel secolo scorso a cui non fu immune neanche il ramo della famiglia da cui discendo io, per parte di padre; l'altro ramo scende giù, fino al Salento, altra terra unica, nella sua bellezza e nella sua magia, a cui la unisce un legame che, da qualche anno, è diventato a doppio filo, con una scelta matrimoniale da intenditrice finissima qual è:-); lo sguardo sul mondo si è soffermato poi su Madrid, altro posto del cuore della sottoscritta, che Mari ama con una struggente dolcezza della nostalgia. 
Nessuno di questi luoghi è rimasto per Mari una semplice espressione geografica: tutti, al contrario, sono stati filtrati fra le maglie della sua sensibilità e fatti rivivere nei loro aspetti più genuini, più tipici, più emozionanti, con una capacità rara di andare e di arrivare al cuore: leggere la lista delle ricette di Lasagnapazza è molto più che scorrere un elenco di piatti. E' un tranche de vie, un coacervo di delicate emozioni, l'ampiezza di una cultura tanto vasta quanto mai ostentata che si ricapitola in ricette straordinarie, che traggono spunto da questo sapere così raffinato e prendono vita in una bravura senza pari. 
Potevo fermarmi ad una sola scelta?
La risposta è ovvia, ed è un no: mai come in questo caso, l'imbarazzo della scelta ha avuto la meglio sui miei propositi severissimi di selezione. 
Ma quando si è trattato di scegliere da dove cominciare, per la pubblicazione su questo blog, non ho avuto esitazioni.
E qui sotto, c'è scritto il perché...

STRUCOLO  IN STRAZA


Lo strucolo triestino fa parte della storia della mia famiglia acquisita. Quella di mio marito, che è "triestina" per parte di zio e di cugini: noi siamo più numerosi, loro sono "unici" e questo li ha resi quasi fratelli, a dispetto delle distanze che li hanno separati e che, per ironia della sorte, si sono centuplicate negli anni. E' per questo che mangiare come a Trieste in casa nostra ha comunque il sapore di casa: quando possiamo disporre di materie prime fresche, è un tripudio di prosciutti, di pinze, di Liptauer; altrimenti, ci arrangiamo con le ricette. 
E lo strucolo è fra quelle più gettonate.
Come se non bastasse, assieme allo strudel è stato il protagonista di una delle sfide più entusiasmanti del'MTChallenge- altro "più-che-parente" della sottoscritta. 
Buon ultimo, il fatto che mia suocera usi una ricetta diversa: potevo esimermi dal  confronto?


qui trovate la ricetta originale, che è come Mary Poppins- praticamente perfetta. Ma visto che alle blog notes ci siamo già affezionati, eccole qui


1. la pasta è spettacolare. Lo avevano detto, ai tempi dell'MTC, ho potuto verificarlo con mano ieri sera. Fra l'altro, essendo di fretta, ho provato a tirarla subito, senza riposo- e si è lasciata stendere senza opporre resistenza, pure in un rettangolo quasi perfetto. Mia figlia era a un passo dalla ola, per dire...

2. ho variato il ripieno, variando il solo ingrediente degli spinaci: al posto della ricotta e yogurt (ah, l'acido di Trieste!) ho farcito con un più banale mix di spinaci lessati e ricotta, aromatizzati con poco sale e tanta noce moscata. 

3. ho fatto cuocere in una pesciera, su due fornelli, a calore moderato, lasciando solo fremere l'acqua di cottura. 

4. non è stato necessario aspettare neppure per tagliare: certo, se avessi avuto un po' più di tempo, di sicuro non mi sarei sentita come Muzio Scevola, ma la pasta non si è sfaldata, nonostante l'umidità non ancora evaporata e- mani a parte- è andato tutto splendidamente

5. la foto è stata scattata alle 20.00, poco prima che il piatto passasse nel forno a gratinare: ho cosparso con Parmigiano, ciuffetti di burro e altra noce moscata (piace alla figlia, abbiate pietà): la gratinatura è durata pochi minuti minuti

6. in totale, considerando che ho saltato i tempi di riposo, per realizzare questo piatto ho impiegato meno di un'ora: 10 minuti per fare la pasta e stenderla, 5 per farcirla - il ripieno è roba da un minuto, a dir tanto- e arrotolarla, 30 per bollirla e il resto per tagliarla, disporla in teglia, condirla e farla gratinare. Onestamente, pensavo peggio. 

7. mia suocera è solita preparate lo strucolo per le cene in piedi. Lo prepara al mattino per la sera, lo conserva in frigo affettato a rondelle e disposto in una pirofila da forno, di quelle del servizio buono, che possa andare sulla tavola degli ospiti e lo fa gratinare durante l'aperitivo: a Genova è una "novità" e finisce in un nano secondo

8. il plus è la versatilità del ripieno: proverò quello di Mari al più presto (ieri ero senza yogurt bianco), ma si presta benissimo ad accogliere tante varianti, anche in abbinamento col condimento. 

9. l'unico neo è che a finirlo, ci abbiamo impiegato sì e no 5 minuti e ne avremmo voluti tutti una seconda porzione che, ahinoi, non c'era più. 

10. per finire, rispetto alla versione domestica, non c'è paragone...#questoepiubuono :-)


 

con questa ricetta partecipo al The Recipetionist di Settembre 2014

mercoledì 17 settembre 2014

WAFFLES DI PATATE


Al primo (nonché unico) che possa aver sospettato che si tratti di una ricetta della sottoscritta, va la palma di lettore più fedele del blog. 
E quando mai si decideranno a mettere la Van Pelt su un trono e a trasportarla in giro per le strade del Masonshire, adorna di tutte le teglie e di tutti gli unguenti della sua dispensa, gli faccio aprire la processione. 
Per tutti gli altri, c'è lo Starbooks...
Buona giornata!

lunedì 15 settembre 2014

SKOLEBROD -BRIOCHE NORVEGESI PER IL PRIMO GIORNO DI SCUOLA




Durante uno dei primi mesi del suo primo anno di scuola, la creatura dovette affrontare l'iniziazione a una serie di "prime volte", al pari di tutti i suoi compagni di classe. Non dico "coetanei" perché la sua maestra di allora brillava per frustrazione e di conseguenza sottoponeva i suoi alunni a tutto quello che la signora avrebbe potuto fare, se solo fosse stata sufficientemente capace di farlo, con i referenti giusti- da studenti della scuola superiore a reclute di Full Metal Jacket: l'ovvio risultato, nonchè l'unico, fu la condivisione di uno stato di ansia generale che, neanche a dirlo, contagiò anzitutto le madri, in una gara a chi ce l'aveva più lunga (la lingua), tanto per sparar belinate all'ingresso della scuola, quanto per blandire la terribile maestra. 
Fu così che, agli inizi della prima, mia figlia dovette affrontare il suo primo compito in classe. 
Non ricordo che cosa fosse accaduto alla vigilia: col senno di poi, dubito che si sia stati sui libri e comunque mai quanto la sottoscritta avrebbe voluto.
Fatto sta che, al mattino, eravamo lì, in mezzo a tutti gli altri, ad aspettare che aprissero il portone dell'istituto- e le madri facevano quello che normalmente fanno le madri di quel genere: ripetevano la lezione fra di loro, inframmezzando la regola del 9 e il rosario delle tabelline con lodi sperticate alla maestra e silenzi ammirati di fronte alla geniale intelligenza dei loro figli. 
La mia, neanche a dirlo, si faceva i fatti suoi. 
Era un affarino da niente, bella come una bambina delle pubblicità, vestita ancora come piaceva alla mamma- e con la testa perennemente fra le nuvole. 
Non so cosa avrei dato, non dico perchè rispondesse per prima a quanto fa 2x2, ma almeno che mostrasse di essere presente alla conversazione e non con la mente altrove, persa in chissà quali meandri della fantasia. 
Invece, niente. 
E così finiva che ce ne stavamo in disparte, tutte le mattine, a subire i trattamenti che quel genere di madri riserva a chi non è come loro: il volume della conversazione che si abbassa, qualche risatina riservata alla sottoscritta alla quale, nonostante tutta la sua sicumera, era capitata una figlia cosi. 
Fatto sta che quella mattina, salutando la creatura, cambiai il solito "ciao amore ciao" in una esortazione a far bene il compito in classe. 
"Cerca di non fare errori!", le dissi, mentre lei si avviava sotto lo zaino lungo la salitina del portone. 
Stavo andando via quando, con la coda dell'occhio, intercettai un movimento. 
La creatura si era fermata a metà strada-e stava tornando indietro. 
Mi fermai anch'io, tornai sui miei passi, le andai incontro. 
"Mamma, cos'è che mi hai detto, prima di salutarmi?"
"Cerca di non fare errori, ti ho detto... "
"Ecco. Allora, senti, volevo dirti che non hai capito. Perché io cerco sempre di fare errori. Perchè altrimenti finisco come la Margherita, che è la prima della classe e sta antipatica a tutti"
Da allora, sono passati 14 anni, tutti sullo stesso tenore, con una disgraziata di figlia che ha sempre studiato il minimo sindacale, ottenendo il minimo di compenso e una madre- io- con il sistema nervoso liso dalle litigate, dalle mortificazioni, dallo sfinimento per cercare di far venir voglia di studiare a lei e far capire alla scuola che non era quella, la direzione giusta per mia figlia. Tant'è che, quando poi l'abbiamo trovata, questa ha continuato a non studiare come prima e a prendere i suoi soliti voti mediocri, ma ha poi fatto il famoso exploit di quest'estate alla maturità, prendendo un voto stellare, superiore non solo alle aspettative del parentado, comprese le grazie ai Santi e alla Madonna, ma a quelli di tutti i suoi amici. 
Tutti, Margherita inclusa.
E, che ci crediate o no, è immediatamente diventata antipatica a mezza Genova. 
"ma intanto, questi mica li devo rivedere più, ti pare?"
Come dire, che già in prima elementare, 'sta qua, aveva capito tutto...
 
 
 
SKOLEBROD


Propriamente, gli Skolebrod sono delle brioche poco dolci, profumate al cardamomo, con una specie di "occhio" ripieno di crema pasticcera e spolverate di cocco, tutt'intorno. La versione che trovate qui sotto è la mia personale, assolutamente eretica, che si avvale dell'aggiunta di una meringa francese, come "collante" per il cocco e di un tocco di marmellata di ribes rosso, per equilibrare l'altrimenti eccessiva dolcezza (in riferimento alla meringa)
Se volete attenervi all'ortodossia, eliminate le mie variazioni sul tema ed i vostri figli/nipoti/amici mangeranno gli stessi Skolebrod dei loro coetanei norvegesi. Ultimissima nota: gli originali sono un po' più piccoli, sui 5-6 cm di diametro

per 6 skolebrod del diametro di 10 cm


350 g di farina 00
100 g di burro fuso
50 g di zucchero semolato
180 ml di latte intero, tiepido
15 g di lievito di birra fresco
1 cucchiaino da caffè di cardamomo in polvere
un pizzico di sale
un tuorlo e poco latte per spennellare

per la crema pasticcera alla vaniglia

250 ml di latte fresco intero
2 tuorli, medi
80 g di zucchero a velo
30 g di amido di mais
i semi di mezza bacca di vaniglia

per la meringa francese

1 albume, medio
il doppio del peso dell'abume in zucchero semolato

per completare

50- 70 g di cocco essiccato
marmellata di ribes, di mirtilli rossi o di lamponi per decorare.

per le brioches

  • Intiepidite il latte.
  • Sbriciolate il lievito in una tazza, aggiungete un cucchiaio di zucchero e circa la metà del latte tiepido: mescolate con un cucchiaino in modo che il lievito si sciolga, coprite e lasciate riposare in luogo tiepido per una decina di minuti: quando sulla superficie si formeranno le classiche increspature, sintomo dell'attivazione, procedete con l'impasto.
  • Setacciate la farina sulla spianatoia e aggiungete il restante zucchero e tutto il mix di lievito e latte: iniziate ad impastare, unendo il resto del liquido un po' alla volta, fino ad ottenere un impasto morbido. A quel punto, unite il burro fuso, tutto in una volta e lavorate fino a quando non sarà stato assorbito dal composto. Aggiustate di sale, profumate col cardamomo, date all'impasto la forma di una palla e mettetelo a lievitare in una terrina, coperto da un canovaccio, fino al raddoppio: con queste dosi di lievito, ci vorrà circa un'ora e mezza
  • Dopodichè, sgonfiate l'impasto sulla spianatoia, lavoratelo ancora un po' e dategli la forma di un salsicciotto: con una spatola per impastare o un coltello, ricavatene 6 pezzi tutti uguali e date a ciascuno la forma di un panino rotondo: disponeteli via via su una teglia da biscotti, coperta di carta da forno, ad almeno tre dita di distanza l'uno dall'altro.
  • Coprite con un canovaccio e fate riposare, per almeno 30 minuti: i panini dovranno gonfiare e aumentare di volume.
  • Nel frattempo, preparate la crema pasticcera*e accendete il forno a 180°C, modalità statica.
  • Allargate poi il centro con le dita, in modo da formare un incavo, senza bucare il fondo: non deve risultare una ciambella, piuttosto un cestino. Riempite l'incavo con la crema pasticcera e spennellate il resto della superficie con il tuorlo d'uovo, stemperato in un po' di latte.
  • Infornate per 25-30 minuti, fino a quando la superficie sarà dorata
  •  Sfornate e fate raffreddare completamente su una gratella. 
  • Nel frattempo, preparate la meringa francese*
  • Quando i dolcetti si sono completamente raffreddati, stendete un po' di meringa attorno alla crema pasticcera, allo spessore di mezzo cm. 
  •  Spolverate subito con il cocco disidratato, che si "incollerà" alla meringa. decorate con una goccia di marmellata, al centro della crema pasticcera e servite


*per la crema pasticcera, col metodo più veloce del West

Fate scaldare il latte e portatelo a bollore
Nel frattempo, sgusciate i tuorli in una terrina e unite lo zucchero. Con una frusta a mano mescolateli vigorosamente, senza montare, fino a quando il composto assumerà un colore chiaro. Aggiungete l'amido, meglio se setacciato, mescolate di nuovo e poi unite il latte bollente a filo, incorporandolo poco alla volta. Rimettete tutto sul fuoco, a fiamma bassissima, unite i semi di vaniglia e portate a bollore, senza mai smettere di mescolare: appena la crema si addensa, togliete dal fuoco e fermate la cottura in questo modo: trasferite immediatamente la crema in una terrina, meglio se di vetro e mettete quest'ultima in un altro recipiente,  pieno di acqua fredda o di ghiaccio. Mescolate ancora, fino a che non si raffredda completamente. 

per la meringa francese

pesate l'albume e calcolate il doppio del peso in zucchero semolato. 
montate l'albume a neve ben ferma e solo allor aggiungete lo zucchero, un cucchiaio alla volta, senza mai smettere di montare. Quando avrete finito lo zucchero, continuate a montare per un minuto o due: la meringa è pronta


  • parto subito dall'obiezione: perchè non hai fatto la meringa italiana, visto che la servi a freddo? perchè non avevo tempo, è la risposta più sincera. Avessi avuto tempo, non lo avrei fatto comunque, perchè non ne vale la pena: la quantità è minima, serve solo per incollare il cocco e le uova che uso sono assolutamente controllate e sicure. 
  • altra obiezione, legata alla meringa: niente sale, niente limone, niente amido? nada de nada. di avere una meringa lucida (limone) non me ne poteva importare di meno; e sulla stabilità, una volta che si usano le dosi esatte e si impara a montarle, non c'è bisogno di altro. Prova ne è che sono ancora perfettamente montate, con tutta che ho preparato gli Skolebrod stamattina e ora sono le 21.54, si son fatti un viaggio in macchina sotto il sole dal Masonshire a Genova e, buon ultimo, ho montato a mano.
  • e comunque, delle meringhe parleremo diffusamente, prima o poi
  • l'impasto delle brioche è pazzesco: gli ingredienti si amalgamano in un attimo e lavorarlo è facilissimo, anche dopo la lievitazione: non si appiccica alle mani, "risponde bene",si lascia modellare con la massima duttilità. al limite, valutate l'ipotesi di aggiungere un cucchaio di farina, per il solito discorso che non si può sapere a priori quanta capacità di assorbimento abbia il tipo che viene utilizzato: stavolta, ho usato la 00 Coop - miscela per torte e dolci e mi son trovata benissimo. Quando uso la Bologna del mulino, devo aggiungere molto più liquido, invece. Vedete voi. L'importante è che aggiungiate gli ultimi 50 ml di latte poco alla volta. Fate assorbire, impastando- e poi andate avanti e alla fine decidete che cosa sia il caso di fare, se aggiungere ancora latte o fermarsi prima che sia finito. 
  • cardamomo=norvegia, ancor prima che Turchia o altri Paesi del medioriente. Se non gradite il suo aroma, potete sostituirlo comodamente con della vaniglia, meno con la cannella. Ma perde parecchio, in originalità.
  • un po' più di zucchero nell'impasto non guasta, anche se la mia versione è molto ricca di dolcezze. Ma personalmente un 15-20 g in più li avrei messi. 
  • non fatevi spaventare dalla lunghezza della spiegazione, perchè credo di aver impiegato più tempo a scrivere la ricetta che a prepararla- tempi di lievitazione inclusi. 


la dedica più ovvia è a tutti i protagonisti del "primo giorno di scuola", che si tratti dell'inizio della scuola materna o dell'ultimo anno prima del diploma. Ma servono anche per tirar su il morale ai loro genitori, visto che da qui a giugno è lunga e fare il pieno di energie non è mai una cattiva idea

non mi stancherò mai di ripeterlo: l'impasto è facilissimo. si incorda in un attimo, lievita che è un piacere, si modella divinamente e garantisce il risultato, anche senza essere panificatori provetti. Il resto, lo fa la decorazione, così sontuosa e ridondante (e dannatamente semplice)






venerdì 12 settembre 2014

LONZA AL CARAMELLO SALATO CON SALSA ALL'ARANCIA E ZENZERO


Stamattina corro, molto più di quanto sia successo  in passato. 
E la "colpa", stavolta, è del gatto. 
Perchè nell'era Ante Winnie, il mio unico tempo buono, per farmi un caffè come si deve (all'americana, lunghissimo), sfogliarmi i blog di cucina, tenere due relazioni virtuali su Facebook e, naturalmente, aggiornare le pagine dove scrivo era compreso all'incirca fra le sei e le sette del mattino: dopo, c'era il risveglio dei membri della famiglia e altre due colazioni, la Vestizione dell'Ingegnere, il rosario di ohm di fronte alle crisi della creatura (ma sono isteriche già appena alzate, le adolescenti femmine- oppure solo io ho tutte le fortune?) e quel che restava era "tempo rubato ai doveri familiari". 
Ma prima, c'era il "tempo mio". 
Ora, invece, c'è il "tempo di Sir Winston". 
Considerato che, strategicamente (per gli altri due) si è deciso di lasciargli la stireria come camera da letto
"Veramente, sarebbe anche il mio studio, la stireria", ho avanzato, in modalità "nessuno tocchi Cenerentola"
"E da quando, lavori da casa?" è stata la risposta corale. 

Per farla breve, non faccio in tempo ad aprire la porta che vengo travolta da un gomitolo nero che miagola e graffia e che, ultimamente, si accende pure. 
Non "fa le fusa"
Questo, vale per l'universo mondo degli altri gatti. 
Il nostro, sembra un frullino, in modalità turbo. 
All'inizio, credevo di avere problemi di stomaco, per dire. 
Poi, ho pensato che li avesse il gatto. 
Di stomaco, di schiena, di collo, di zampe: di tutto, insomma, visto che non c'è parte del suo corpo che non vibri come un indicatoredi terremoto, in corso di scossa. 
E ditemi voi, come faccio a lasciarlo andare, a dirgli di giocare da solo che devo scrivere le ricette sul blog, portandomi dietro i sensi di colpa per tutto il giorno, che già mi tocca lasciarlo quando vado in ufficio.. come faccio, me lo dite?
Ah, ovviamente, la versione ufficiale NON è che mi sto Svanpeltizzando.
La versione ufficiale è che un gatto che fa le fusa come se non ci fosse un domani serve per il rassodamento cosce. 
Che non sia mai che mi rammollisca...


LONZA AL CARAMELLO SALATO CON SALSA ALL'ARANCIA E ZENZERO

Altro cavallo di battaglia, di una facilità estrema: praticamente, fa tutto da sola, cottura, caramellatura e porca figura- e non solo per onore di rima. Non credo di averla mai pubblicata, anche se c'è chi lo ha fatto per me, anni fa (ci sarebbe pure la Parodi, che ho scoperto che le ha fatte tutte, le ricette col trucco che sto pubblicando, dai tagliolini al limone a questa qui e in questa non ha neppure cambiato una virgola, tanto per partire già con l'ego sottodimensionato, di prima mattina :-)): in ogni caso, non sto dicendo bugie: basta mettere in pentola la carne e lasciare che avvenga la magia...

800 g di lonza
1600 ml di acqua fredda
3 cucchiai di zucchero di canna
un cucchiaino raso di sale fino
sale grosso

per la salsa all'arancia e zenzero

versione for dummies
1 arancia non trattata, scorza e succo
una spruzzata di Gran Mariner (facoltativo)
la punta di un cucchiaino da caffè di zenzero 

versione porca figura
2 cucchiai di zucchero di canna 2 cucchiai di fondo di cottura della carne
1 cucchiaino da caffé di zenzero
il succo filtrato di un'arancia
2 cucchiai di Gran Marnier
1 cucchiaio raso di farina di riso
sale
scorza di arancia non trattata


Prendete una casseruola piuttosto ampia, che contenga la lonza per intero: versate sul fondo lo zucchero, accendete il fuoco  a fiamma bassa  e fate caramellare: quando lo zucchero ha preso il colore di un caramello biondo, sistemate nella pentola la lonza e copritela con tutta l'acqua, fredda. Aggiungete il sale fino e portate a bollore, a fiamma media. Poi abbassate il fuoco, coprite e proseguite la cottura fino a quando l'acqua si sarà quasi completamente ridotta e la carne sarà avvolta da un velo di caramello. 

Se optate per la salsa for dummies, togliete la lonza dalla pentola e tenetela in caldo, meglio se protetta da un foglio di alluminio. Deglassate il fondo di cottura con il succo di arancia, sfumate con il Gran Marnier e aggiungete lo zenzero. Aggiustate di sale. Fate ridurre per un minuto, poi filtrate e servite, cosparso dauna bella grattugiata di scorza d'arancia

Se invece decidete di preparare la salsa all'arancia "vera", dovete procedere durante la cottura della carne, nelle fasi finali: appena il liquido di cottura inizia ad addensarsi in un caramello vischioso, prelevatene una piccola quantità (all'incirca, due cucchiai): versatelo in una padella, assieme al succo d'arancia e allo zenzero, mescolate e fate cuocere per un minuto. Sfumate con il Grand Marnier e, in ultimo, fate addensare con la frina di riso: in una tazzina da caffè, fate sciogliere la farina di riso in un cucchiaino di salsa (o di succo d'arancia): mescolate bene, aggiungete il composto al resto,abbassate la fiamma e fate addensare. 

Cospargete il pezzo di carne con un pizzico di sale grosso e accompagnate con la salsa al caramello all'arancia. 


 Esiste una versione ancora più semplice, che esclude la caramellatura iniziale. Mettete la lonza nella pentola, coprite con acqua e zucchero e lasciate lì. Il caramello che si formerà alla fine sarà un po' meno avvolgente, ma il risultato è counque assicurato.

  • La vera difficoltà di questo piatto è il forte rischio che la carne resti stopposa. Se la preparate e la servite immediatamente, nessun problema. Se la lasciate riposare, invece, son più le volte che si servono suole che quelle in cui si portano in tavola fette sugose. L'unico modo per arginarlo è calcolare i tempi: di solito, ci vuole un'ora e mezza di cottura, anche se l'unica variabile è il peso della carne: ma il pregio è che si cuoce da sé. Quindi, anche se avete ospiti, programmate tutto in modo che il secondo sia pronto poco prima di servirlo (o, meglio ancora, poco dopo: mica si aspetta solo il soufflé...): sentirete che bontà. 

  • Le dosi sono ovviamente variabili, ma la proporzione fra acqua e carne è invariata: l'acqua deve sempre essere il doppio del peso della carne.
  • Non toccate niente in cottura: dopo aver preparato il caramello, facendo semplicemente sciogliere lo zucchero sul fuoco a fiamma bassa, mettete nella pentola la carne e l'acqua e il sale, coprite e abbassate la fiamma. Potete anche controllare dopo un'ora, per dire: l'unic differenza che constaterete sarà la riduzione del liquido e la progressiva coloritura della carne. Il che significa che va bene cosi
  • Nessuna rosolatura preliminare, nessuna reazione di Maillard: propriamente, è un lesso. 
  • Per il caramello, versate lo zucchero sul fondo della padella, in modo da ricoprire quest'ultimo con uno strato uniforme. Mettete sul fuoco, fate scaldare: appena lo zucchero inizierà a sciogliersi, inclinate la padella delicatamente verso di voi e ruotatela, in modo che lo zucchero caldo entri in contatto con quello non ancora sciolto, evitando però di mescolare. Appena il caramello è biondo, unite la carne e l'acqua: fate attenzione a non farlo scurire: vi porterete dietro un retrogusto amaro, impossibile da eliminare.  
  • La preparazione della salsa è rapidissima: lavorate velocemente, perché, come dicevo prima, la carne non deve aspettare. Non ci sono difficiltà particolari e mi sembra di aver descritto tutti i passaggi. Due cose solamente: 
  • la prima è che è sempre necessario filtrare: non serve chissà che cosa, un colino a maglie fitte va benissimo: l'essenziale è che portiate in tavola una salsa liscia e vellutata. Il resto, non è contemplato. 
  • la seconda è che la farina di riso è un addensante che lucida, molto più del'amido di mais o della fecola (che personalmente uso poco, perchè di questa sento il gusto): fatela sciogliere in una tazzina con poco liquido, se non volete che raggrumi appena entra a contatto con la salsa e lasciate addensare a fiamma bassa. 
  • Lo zenzero è quello in polvere, l'arancia è rigorosamente non trattata. 






mercoledì 10 settembre 2014

FOCACCIA LOCATELLI. (PIU' O MENO...)




 Franco Battiato- Cuccuruccucu Paloma (da La Voce del Padrone, 1981)




Uno dei pregi univeralmente riconosciuti a mio marito...
No, ricomincio. 
IL pregio universalmente riconosicuto a mio marito, laddove l'uiversalmente comprende la sottoscritta, la creatura, i suoceri per esperienza diretta, la mamma Van Pelt per sentito dire e Sir Winston perchè se non si adegua non mangia, è quel figo spaziale del suo socio di Madrid. 
Che del figo spaziale ha tutto, pure una moglie simpatica da far paura, con cui si è sviluppata un'intesa fenomenale, di quelle che non han bisogno di parole, grazie alla quale vedermi e infilarmi in un tour di shopping sfrenato, fra la Gran Via e tutti gli Outlet dei dintorni, compreso quello della biancheria per la casa appena entrati in Portogallo è praticamente tutt'uno. 
(E se qualcuno avesse da sindacare sul mio personale concetto di "dintorni", ricordatevi che sono pur sempre la madre di una convinta che la distribuzione delle località sulla carta geografica segua un ordine alfabetico; ragion per cui, tutto quello cheè cataolgabile alla voce "shopping" è "nei dintorni" per definizione)
Tornando al socio di mio marito, è un concentrato di tutti i pregi, dalla A di Aplomb (il mio spagnolo deve averlo messo in più di una situazione di imbarazzo, sempre risolta con una classe degna della Real Casa) alla Z di "Zenzo dell'umorismo", passando per tutte le altre lettere dell'alfabeto, JKXY e W comprese. 
L'unico difetto, quello che ce lo rende umano, è legato ai suoi gusti in fatto di cibo. 
Che sono raffinatissimi ed esclusivissimi, sia chiaro: ma contemplano, ahimè, una altrettanto esclusiva passione per due sole cucine, quella spagnola e quella italiana. 
Il che, tradotto nella pratica, significa una cosa sola: che si mangia spagnolo, quando si è in Spagna- e si mangia italiano, quando si è altrove. 
Laddove "altrove" va inteso nello stesso senso con cui io intendo "dintorni": praticamente, dovunque.
Mio marito che, per contro, è uno strenuo assertore del centimetro zero, le ha provate tutte, per convertirlo alle cucine locali- ma invano: che siano in Cina come in Germania, in Olanda come in India, l'imperativo è uno solo: cercare un ristorante italiao e ordinare un menu completo, dalla Pizza al Salami al Tiramisu. 
Va da sè che la regola ferrea non preveda eccezioni, meno che mai per la mia amatissima perfida Albione che, in qanto a credibilità in campo gastronomico, è sommersa da una valanga di stereotipi duri a morire. E neppure valgono i buoni uffici della sottoscritta che si spertica ogni volta nelle lodi della sana cucina britannica e delle nuove frontiere della critica e pure degli stellati col menu scontatissimo, "che qui ce li possiamo permettere, eddai Juan, che ti costa provare una volta?"
E fu così che andammo da Locatelli
Vedi alla voce: chi è causa del suo mal...

PS
Mio marito ancora non me la perdona, la cena da Locatelli, a Londra. Per fortuna poi l'ho portato da Nobu e allora ha avuto da arrabbiarsi per quello :-): ma fino a quel momento, ogni occasione era buona per rinfacciarmi "quella volta che". Colpa di una serie di scelte infelici che finirono per cozzare contro aspettative forse un po' troppo elevate e contro un risotto all'Amarone ordinato dalla moglie che era roba da commozione e che gli ho fatto annusare solo da lontano. 
E comunque, eravamo o non eravamo lì solo per la focaccia?


FOCACCIA DI GIORGIO LOCATELLI



Per i due o tre che ancora  non lo sapessero, la "focaccia locatelli" era stato un tormentone sul web nel 2010 o giù di lì. Me lo ricordo, perchè era venuta fuori nello stesso periodo in cui io mi ero decisa a tirar fuori la ricetta di famiglia della focaccia genovese, con la cottura in salamoia e subito dopo era stato tutto un proliferare di "focacce Locatelli" che inneggiavano alla dirompente novità della cottura in acqua e sale. 
Roba da farmi venire la bava alla bocca- e non certo per l'acquolina. 
Morale: avevo comprato il libro da cui proveniva la ricetta, ero andata alla pagina che la riportava, l'avevo eseguita alla lettera- e l'avevo buttata via. 
"Cibo da mucche" era stato il verdetto, di fronte all'inverosimile dispendio di tempo e di energie che mi ci erano voluti per mandar giù il primo boccone. A cui non ne avevano fatti seguito altri, almeno fino a quando non me la ritrovai davanti, tiepida, soffice e con tutte le lusinghe dell'"appena sfornato", pure dalle mani del suo creatore. 
Potevo esimermi dall'assaggiarla?
Al quinto boccone, ingolfata come una mongolfiera, stavo chiedendomi come avrei fatto a smettere: perchè era vero che quella focaccia non aveva nulla a che fare con la nostra, era troppo alta per i miei gusti e troppo morbida per poter giocare in tutti i ruoli, come invece capita con quella genovese: però, diamine, anche questa era buona. Sapida, soffice, sontuosa, mi verrebbe da dire- e tutta diversa da quella che avevo preparato io. 
Ragion per cui, l'ho rifatta.
Con qualche modifica, naturalmente.
Ma alla fine,ci sono riuscita.
Ed è quindi nel momento meno indicato, quando ormai il tormentone è finito, la Focaccia Locatelli è passata di moda e la sottoscritta ha venticinque lettori per davvero (e guai al ventiseiesimo, perchè sennò sbaracco di nuovo tutto) che pubblico la versione riveduta e corretta, quella che mi permette di sfornare una focaccia perennemente da porca figura. 
Ma non ditelo a nessuno...


per uno stampo rotondo del diametro di 30 cm 

250 g di farina 00
250 g di Manitoba
5 g di lievito di birra secco
225 ml di acqua  320 ml di acqua
poco olio extravergine  2 cucchiai di olio extravergine di oliva
10 g di sale

per la salamoia
65 ml di acqua
65 ml di olio extravergine di oliva
25 g di sale grosso
 
In una ciotola piuttosto ampia versate le farine e il lievito e, a poco a poco, l'acqua, incorporandola con un cucchiaio. A metà della lavorazione, aggiungete il sale e proseguite, lavorand il meno possibile e mai con le mani. Quando avrete incorporato tutta l'acqua, aggiungete l'olio e poi lasciate riposare, coperto con un canovaccio, per 10 minuti. Trascorso questo tempo, versate il composto in una teglia unta con un cucchiaio di olio (preso dai 65 ml della quantità prevista per la salamoia) e lasciate riposare per altri 10 minuti. Stendetelo poi con le nocche delle dita, delicatamente, in modo che rivesta completamente il fondo dello stampo e lasciate riposare per mezz'ora. Trascorso questo temp, fate i buchi sulla superficie (il metodo della focaccia genovese è perfetto) e versatevi sopra la salamoia, ottenuta mescolando l'acqua, l'olio e il sale cospargetevi il sale grosso e irrorate con la miscela di olio e acqua.  Infornate a 220°C per 20-25 minuti: quando è dorata, è pronta. 

partiamo dagli ingredienti: le farine sono il solito mix farina fortissima- farina debole e la quantità di lievito, stavolta,  è tassativa: l'originale indica 5 g di lievito di birra secco (quello NON istantaneo) che corrisponde a 15 g di quello fresco, ma ridurre non è possibile perchè i tempi di preparazione, come avete visto, sono strettissimi. Nulla vi vieta di farlo, sia chiaro: però, a questo punto, dovete variare la tempistica e tanto vale fare un'altra focaccia.
  • solitamente, uso il lievito secco. Se volete usare quello fresco, o lo sbriciolate finemente sulla farina oppure lo sciogliete in pochissima acqua, presa dalla quantità del totale.
  • come avete visto, nella ricetta originale è indicata una quantità d'acqua piuttosto bassa, che si adatta meglio agli impasti di pane e non di focaccia: chi l'ha preparata, negli anni, come questa cialtrona qui :-), lo dice subito, di aumentare i liquidi e guai a non farlo, pena l'effetto mappazzone. Se poi avete un minimo di dimestichezza con questi impasti, aumentate fino a 320 ml, aggiungendo l'ultimo quantitativo poco alla volta: resterete sorpresi dalla morbidezza finale
  • il "non impasto" appartiene alla filosofia di Lahey, il cosiddetto inventore del "no- knead bread": l'agomento è riservato alle prossime puntate, perchè se no non la finiamo più. Qui basti solo tranquillizzarvi: cucchiaio di legno, ciotola ampia, tempi di lavorazione minimi -e tranquilli che riesce. 
  • i tempi di lavorazione a casa mia non sono tassativi: visto che aumento le dosi di liquido e visto che son del partito degli infedeli alla marca di farina (le cambio come la biancheria), ogni volta si ricomincia: tendenzialmente, però, vale la regola del "minimo": appena l'acqua è minimamente assorbita (non c'è la "pozzetta" sul fondo della terrina), piantatela lì
  • i tempi di lievitazione dipendono dal tempo atmosferico. Quelli indicati sono quelli minimi, ma non vi nascondo che qualche volta ho barato: grosso modo, appena iniziano a formarsi le bolle, passo alla fase successiva
  • dove invece baro spudoratamente è nel passaggio in teglia: Locatelli non lo ice, ma stendere un impasto lievitato, anche se poco, è sempre un'operazione zen, laddove zen sta per il quartiere di Palermo: tiri da una parte- e si accorcia dall'altra e smoccolare non serve. Bisogna solo armarsi di pazienza e aspettare: tiri da una parte, si accorcia dall'altra, aspetti qualche minuto e pareggi il tutto. Calcolate un quarto d'ora, di media. 
  • l'altra mia modifica riguarda il sale della salamoia: se lo si scioglie nell'emulsione di acqua e olio, come da ricetta, vien fuori una focaccia un po' troppo salata. Se ivece lo cospargete prima, questo andrà a depositarsi sui buchetti, creando un effetto finale molto simile a quello della focaccia genovese, almeno nel grado di sapidità. Per il resto, è tutta diversa.

Giorgio Locatelli- Made In Italy. Food & Stories.