martedì 23 dicembre 2014

BUON NATALE!! DALL'AL DI QUA ;-)

English version below

...finché dura. 
Laddove il "dura" è riferito al mio sistema nervoso
Perchè se un trasloco è un trauma da assimilare a un lutto, figuriamoci cosa significa farne tre.
E farli a Natale. 
E farli senza sapere dove andrai a finire tu. 
La meta è Singapore, ovviamente (giusto per quei due o tre che ancora non lo sapessero), ma il quartiere, i metriquadri, la tipologia di abitazione, questa è roba da "lo scopriremo solo vivendo". 
Sempre che si sopravviva, ovviamente :-)
E comunque, anche se non lo so davvero come farò ad arrivare in fondo e se già mi auguro del 2015, vi faccio gli auguri lo stesso: nella speranza che questo Natale possa portarci un po' di serenità, in mezzo a tanta frenesia e, magari, aiutarci a discernere fra ciò che appesantisce le nostre vite e ciò che invece le equipaggia al meglio, a gettar via le zavorre e a prendersi più cura di chi ci aiuta, ci sostiene e ci vuole bene. 
Buon Natale, dal profondo del cuore
Ale


...while it lasts. 
And "it lasts" is related to my nervous system, of course.
Because if a moving (ONE moving) is like as a choc, never mind THREE ones. 
Three moving, during Christmas
Three moving, without knowing what on earth are you going to.
Yes, I know, we're going to Singapore (just for those two or three people that still ignore it): but in which area, in which kind of abode- in  a flat or in  a house, for instance- it's still an enigma. We'll find it out only at the next episode: so, stay tuned and enjoy my best wishes of Merry Christmas: from this side of the moon, by the moment, at least...

martedì 16 dicembre 2014

DOLCI REGALI: PERCHE' NON C'E' DUE SENZA TRE!


...magari non in un anno, ecco. 
Perché tre libri di questo spessore nel giro di un anno son robe che nessuno al mondo si sognerebbe di fare. Perché chiuderne uno e riattaccare subito con l'altro, senza fermarsi un istante, con cucine che sembrano travolte da orde di barbari, armadi completamente rivoltati e Redazione e Community in fermento, come se si fosse sempre sul punto di dover uscire con l'edizione speciale, non è cosa da tutti i giorni. 
Meno che mai lo è fare sempre il sold out. E' successo con L'Ora del Paté, è successo anche con Insalata da Tiffany, in modo del tutto inaspettato e sorprendente: diteci voi qual è un libro marcatamente stagionale, che esce nella stagione sbagliata e sul quale non si fa nessuna operazione di marketing, che riesce ad essere esaurito in magazzino pochi mesi dopo, a maggior ragione con una tiratura importante, almeno per noi e con una distribuzione locale. 
Ma noi siamo quelli dell'MTC e qui tutto è possibile. 
Pure il libro di Natale, pure il libro con un impianto nuovo, pure il libro con un numero di ricette sempre più pericolosamente vicino ad eguagliare il numero delle pagine totali.  
Partiamo dal titolo- anzi, no: partiamo dal retroscena. 
In principio, sarebbe dovuto essere il babà. 
"Quel" babà, naturalmente. 
Quello di Antonietta, che aveva suscitato un grido di meraviglia dall'Alpi alle Piramidi, da qui all'eternità, in tutti i luoghi e in tutti i laghi in cui si gioca all'MTC: perché nessuno al di fuori delle zone d'origine di questo dolce poteva immaginarne la straordinaria combinazione di sapori, del tutto diversa da quelle spugne mappazzose da Brianza Alcolica che vengono spacciate nelle pasticcerie del resto del mondo, sotto il nome di babà. 
Giuro che ci ho provato, a convincere l'editore, che la realtà era diversa. 
Gli ho anche reso appiccicosa la scrivania, trasportando un babà inzuppato nell'armadietto dei liquori, sezione "riserva indiana", ma invano: "il babà non va" è stata la sua risposta.
A bocca piena, però. 
E difatti, subito dopo, si è aperto uno spiraglio. 
Un "si potrebbe", un "ci crediamo", un "proviamoci, dai" che ha acceso mille lampadine nella testa della sottoscritta e ha messo in moto una quarantina di braccia, nella Redazione allargata che, per l'ennesima volta, ha accettato questa sfida nella sfida, che ci ha portato ad allargare il raggio di indagine a tutti quei lievitati dolci che accompagnano la nascita della pasticceria e che trovano nelle corti europee del XVII e del XVIII secolo la loro espressione più sontuosa, più mirabolante, più ostentata. 
"Dolci Regali" quindi, nasce da qui- dal mondo dei re e delle regine, delle feste scenografiche, degli inviti a corte che, in quegli anni, valevano più di una onoreficenza militare, di una politica che si svolgeva tanto nella sala del trono quanto nelle camere da letto, di uno stile di vita che ebbe nella legittimazione della pasticceria l'ennesimo riconoscimento di uno strumento di glorificazione di un potere così smisurato e così radicato da sembrare intramontabile e immortale. 
Anche se propriamente non nascono in questo ambiente, è qui che le brioches e gli impasti lievitati dolci trovano la loro massima espressione: nascono i dolci a forma di corona, dal Kugelhupf al Babà al Savarin, gonfi, alti e spesso farciti, a riprova di quella funzione celebrativa a cui sono destinati; e, accanto ad essi, si diffondono anche altre forme, altrettanto allusive di altri poteri, più impalpabili, più ineffabili, più indistinti, che attengono alla sfera del soprannaturale e del sacro e che, al pari degli altri, trovano spazio nel nostro libro. 
E poi, ovviamente, ci sono i poveri. Quelli che re lo erano per un giorno solo, ma non per questo rinunciavano alla ricchezza dell'ingegno per concedersi, con poco, i lussi dei ricchi: krapfen, graffe, maritozzi, scole, buchteln, gnocchi di varie consistenze e ripieni, buns e molte altre dolcezze erano quelle che, seppur periodicamente, allietavano i palati di chi non poteva permettersi tutti i giorni di mangiare brioches, ma riusciva comunque a produrre ricette altrettanto indimenticabili e straordinarie. Quelle che sono state raccolte, studiate, rielaborate dalla Redazione allargata, in un indice altrettanto straordinario, che racchiude classici ed inediti, ricette storiche e ricette innovative, frutto ora di ricerche in biblioteca ora di guizzi dell'ingegno ma tutte, nessuna esclusa, di sicura riuscita e di assoluto successo. 
Ultimo, ma non ultimo, il contributo della community, massiccio come non mai, nei tre capitoli sugli sciroppi di zucchero, sulle creme, sulle conserve: oltre 90 ricette, modulate su una gamma vastissima di sapori, consistenze e profumi, per poter rinnovare ogni volta le vostre proposte, rimpinguare le scorte alla voce "roba buona" e- perché no?- concedervi una coccola, per sentirvi voi stessi re e regine della vostra casa. 
Celiaci e intolleranti in genere troveranno pane, anzi, brioches, per i loro denti. 
Squadra che vince non si cambia- e, a dirla tutta, non l'avremmo cambiata neanche in caso contrario, da tanto è stato il piacere di lavorare assieme e di apprezzare, ancora una volta, la professionalità, la bravura, la pazienza e, per questa volta, anche lo stoicismo di Paolo Picciotto, che ha scattato metà delle foto con un piede rotto (l'altra metà, sotto le alluvioni); e il genio assoluto di Mai Esteve, secondo solo alla sua abnegazione e alla sua immensa generosità. Fabrizio Fazzari si conferma l'editor migliore di tutti gli universi mondi, Barbara Ottonello è l'eccezione alla regola del "tutti sono utili e nessuno è indispensabile" e Bruno Nuzzo è l'alfa e l'omega di questo progetto: lo scriviamo minuscolo, per evitar confusioni ;-), ma non c'è come arrivare al traguardo per rendersi conto di quanto grande sia il debito nei confronti di chi ci ha permesso di realizzare tutto questo: una seconda ristampa agli sgoccioli, per L'Ora del Paté, una prossima edizione di Insalata da Tiffany, una tiratura importante, per Dolci Regali sono la conferma di che cosa si possa fare, quando si crede in un progetto e ci si spende, tutti assieme, in modo autentico e generoso. 
A proposito di generosità, con questo libro aiutiamo ancora "la" Piazza, vale a dire i ragazzi di Piazza dei Mestieri, a Torino e a Catania: di loro avevamo parlato ai tempi di Tiffany e anche se l'autunno è stato impietoso e ci ha impedito di realizzare i progetti che avevamo in mente, nulla cambia sul fronte dell'ammirazione per il coraggio, l'abnegazione, la serietà dell'impegno e la professionalità delle forze in campo: in questi mesi, la Piazza ha festeggiato il suo decennale, con un bilancio che definire positivo sarebbe a dir poco riduttivo: e mentre ci auguriamo che possano esportare questo modello in tutta a nostra Penisola, ci uniamo nello sforzo di finanziare, con una parte dei proventi di Dolci Regali, le borse di studio per quei ragazzi che, nelle botteghe della Piazza, trovano un'occasione di riscatto e di dignità che la sorte ha loro negato. 
Infine, un po' di informazioni pratiche. 
Per chi ce la fa, ci vediamo oggi, al Caffé Cambi in vico Falamonica, per la presentazione del libro e un po' di auguri, con bollicine e una mini degustazione di prelibatezze dolci e salate. 
Per tutti gli altri,  iniziate la solita trafila della ricerca nelle librerie e su amazon, ibs, mondadori e feltrinelli: a dispetto di prime edizioni bruciate, su tirature di sostanza, e di prodotti di qualità, targati made in Italy dall'inizio alla fine e con prezzi assolutamente contenuti, i librai continuano ad ignorarci. Fabrizio ha mandato scheda libro e copertina ad amazon almeno 15 giorni fa e ancora non appare nulla e lo stesso vale per ibs. 
Per l'ennesima volta, ci tocca chiedervi un po' di pazienza, da una parte e un po' di collaborazione dall'altra, in nome di una casa editrice che lavora in modo egregio e  che trasuda amore per quello che fa, con una consapevolezza del proprio ruolo nel tessuto sociale e culturale che stride, in positivo, con il linguaggio dei numeri e del marketing che delocalizza da un lato e svilisce dall'altro. 
L'MTC è la prova che l'unione fa la forza e l'onestà fa tutto il resto: e Sagep è il nostro interlocutore naturale, a dispetto di sirene che, ovviamente, risuonano alle orecchie della sottoscritta da un anno a questa parte. 
La strada che abbiamo scelto è quella- e quella sola. Ovvio che sia in salita, ovvio che non la si percorra da soli: eravamo in tanti a crederci, lo scorso anno, siamo in tantissimi oggi, dopo che abbiamo conquistato anche sugli scaffali la stessa credibilità che ci contraddistingue sul web. Per cui, correte tutti nelle librerie e fatevi questi Dolci Regali: non ve ne pentirete, nemmeno stavolta!
Dolci Regali
I libri dell'MTChallenge
a cura di Alessandra Gennaro
fotografie di Paolo Picciotto
illustrazioni di Mai Esteve
Editor: Fabrizio Fazzari
Impaginazione: Barbara Ottonello
Sagep Editori, Genova
Euro 18,00. 

giovedì 20 novembre 2014

HO PRESO DALLA NONNA- CROSTATA DI MELE MERINGATA


E' dalla più tenera infanzia che mia figlia manifesta una spiccata inclinazione per tutto quello che è manuale- lavori di casa esclusi. 
Ad essere sinceri, "spiccata" non sarebbe forse l'aggettivo più adatto. In una famiglia normale, "buona" potrebbe bastare, per dire. E in una famiglia di talenti, sarebbe sufficiente anche solo "manualità". 
Ma che da due negazioni assolute come siamo io e suo padre possa essere venuta fuori una creatura che sa disegnare, sa suonare, sa decorare le torte è uno di quei misteri che danno la stura a una miriade di interrogativi, dall'imperscrutabilità della sorte al pater incertus, per dire. 
E giusto perchè non si pensi ad una delle mie solite esagerazioni: non son capace a cucire, non so tenere una matita in mano, sono la negazione assoluta di tutte le attibità pratiche e l'unica volta che ho confezionato con le mie mani un maglione, ai ferri e rigorosamente in maglia rasata, l'unico complimento che ho ricevuto è stato per il bel punto traforato.
Anche in cucina, più che a sentimento, vado a zig zag. La mia firma è la decorazione che si stacca, il ciuffo di panna sbilenco, la crema che sbuffa, il cioccolato che si crepa, le rughe nella pasta di zucchero. 
Mentre mia figlia è capace di cose sovrumane, tipo tirare una riga di panna con sac a poche senza che la bolla d'aria le intasi la bocchetta o stendere una ganache prima che si rapprenda a mo' di cemento armato, per nn parlare di impasti che non si attaccano al piano di lavoro e scivolano giù dal mattarello senza dover ricorrere ogni volta ai rattoppi e a "tutti i segreti del Patchwork"
Ultimamente, si è messa a cucinare sul serio- e, neanche a dirlo, fa di testa sua.
Qualsiasi suggerimento provenga da me è immediatamente scartato e, spesso, pure a ragione: sono responsabile della irrimediabile rovina della torta hollie per il fidanzato, dei muffins rimasti bassi perché quella che avevo giurato essere farina "autolievitante" in realtà non lo era, del rattrappimento della salsa allo yogurt (ok, "qualche goccia di limone" non significa "mezzo") e di non so quanti altri disastri, che incorrono puntualmente ogni volta che decido di correre in suo aiuto. 
Tant'è che quando un giorno, di fronte ad un complimento per un dolce che le era riuscito particolarmente bene, ha commentato "ho preso dalla nonna", non ho potuto far altro che tacere...

CROSTATA MERINGATA ALLE MELE
di omar busi- da La Grande Pasticceria d'Autore, vol. 3


"la meringa va solo sulla lemn meringue pie e comunque non sulle mele"
Così parlò Van Peltustra. 
e questa, è la risposta, targata creatura

per la frolla allo strutto
300 g di farina 00
150 g di strutto
150 g di zucchero a velo
3 albumi
la scorza grattugiata di mezzo limone
un pizzico di sale

per il ripieno
una mela grossa o due piccole (400 g circa), meglio se Renette o Gala
un pugno di mandorle in scaglie (omesse, non le piacciono)

per il composto da quiche
300 ml di panna fresca liquida
2 uova
2 tuorli
100 g di zucchero
1 cucchiaino colmo di cannella in polvere

per la meringa italiana
3 albumi
il peso dei 3 albumi moltiplicato per 2 di zucchero

(la ricetta originale prevede una frolla col burro)
stampo quadrato, di 24 cm di lato
burro e farina per lo stampo

Sestacciate la farina con il sale,unite lo strutto a tocchetti e impastatelo, formando delle briciole. Aggiungete poi il burro e i tuorli e lavorate il tutto rapidamente, fino a quando gli ingredienti si saranno bene amalgamati. 
Imburrate e infarinate lo stampo, rivestitelo con la frolla e mettete in frigo per almeno un'ora. 
Sbucciate le mele, eliminate il torsolo e tagliatele a cubetti piccoli. Cospargetele sul fondo della frolla, assieme alle mandorle, in modo uniforme. 
Con una frusta, amalgamate la panna con le uova, i tuorli, lo zucchero e la cannella e versate la crema sulle mele e le mandorle
Infornate a 180°C per almeno mezz'ora: la superficie dovrà essere morbida, ma perfettamente soda. Lasciate raffreddare completamente e, nel frattempo, preparate la meringa italiana

In un casseruolino dal fondo spesso, versate lo zucchero e la metà del suo peso in acqua. mescolate, portate a bollore e fate bollire fino a quando lo sciroppo raggiungerà i 121° C (qui, ci sarebbero dei metodi empirici, per apprendere i quali dovete passare attraverso la scala Scevola, quella di tutte le ustioni possibili e immaginabili: per cui, compratevi un termometro e non parliamone più)
Nel frattempo, montate gli albumi a neve fermissima. 
Dopodiché, senza smettere di montare, aggiungete lo sciroppo, poco alla volta, aspettando che si sia incorporato tutto, prima di aggiungere il resto. continuate a montare fino al completo raffreddamento della meringa

A questo punto, la torta dovrebbe essersi raffreddata. 
Se così non fosse, aspettate il tempo necessario, che intanto la meringa non smonta più. Quando la superficie è a temperatura ambiente, ricopritela con la meringa, facendo uno strato spesso due dita. Passatelo sotto il grill del forno, per 3-5 minuti,  per farlo dorare bene

lunedì 20 ottobre 2014

LIVE FROM SINGAPORE


Viaggiamo Emirates, con scalo a Dubai, quel tanto che basta per rendersi conto di una diversità che non ci piace (dagli eccessi del lusso all'assenza di carta igienica nel bagno delle donne, perché fra i divieti a cui il mio sesso è sottoposto, in questo angolo del mondo, è contemplato pure questo) e arriviamo a Singapore alle 8 del mattino, con 24 ore di veglia che, secondo me, dovrebbero metterci al riparo da qualsiasi jet lag. 
"non quando voli da questa parte" assicura il marito che, ultimamente, "da questa parte" ci è di casa. Ma Singapore gli manca ed è anche per questo che accogliamo la ferale notizia della camera che ancora non è pronta con allegria: dei tati modi per ingannare il tempo, l'opzione "giro nei dintorni" resta la mia preferita, a maggior ragione se non ci si è ancora stati e se quelo che vediamo è così...





Siamo a un passo dal "quartiere arabo", così chiamato dal nome della via principale, Arab Street, che però, a dirla tutta, di "principale" ha poco, visto che le scorrono parallele altre stradine, tutte altrettanto variopinte e pittoresche. E incasinate e assolutamente "arabe", in merito ai colori, ai profumi, ai negozi di stoffe (assoltamente da urlo), di lampade e di tappeti. Sono le dieci del mattino ed è troppo presto per godercelo nella sua dimensione più vera: ma a volte, basta poco per innamorarsi...





"barcollo ma non mollo", potrebbe essere il mantra di questa prima mattinata: perché se è vero che non ho le forze (e i calzini) per entrare nella Moschea, non sono ancora nella condizione di gettare la spugna. Mi gira la testa, per il sonno, il caldo, l'umidità e l'essere ancora vestita come nella Genova di 24 ore fa: ma a pochi passi c'è il famoso quartiere indiano, una delle attrattive certificate di Singapore e sarebbe stupido non dare un'occhiatina...



Doverosa premessa: ci si torna. Non fosse altro perché siamo in piena "Festa delle luci" (Deepavall), perché una cena indiana la si fa, perché ora siamo troppo stanchi per goderci qualcosa nel vero senso del termine e buon ultimo perché il tassista, ieri sera, ci ha parlato di un mega super market, Mustafà, che è una specie di Harrod's etnico, molto più economico e più sgangherato, ma allettante tanto quanto. Secondo la mappa, ci si arriva facile, tirado su per Arab Street: secondo la topografia reale, ci tocca una deviazione per lavori in corso che ci porta in un quartiere piuttosto degradato, lontanissimo dalla Singapore che vedremo nel pomeriggio e che è a una manciata di km a dir tanto: come dire, che i contrasti esistono anche qui. Meno violenti, meno sfacciati, più "delicati", insomma. Ma ci sono. 





Stando alle guide politicamente scorette che leggo io, la Little India di Singapore consente un assaggio di India vera, depurata dai miasmi che, ahinoi, dell'India vera costituiscono la parte più reale. Da un giro veloce, deduco che potrei essere d'accordo: rispetto al quartiere arabo, c'è un gran casino e l'impressione è che questo sia un quartiere infinitamente più vissuto: signore in sari con le borse della spesa, uomini che si industriano per caricare e scaricare furgoni, gente che va e che viene e che si affolla, praticamente dovunque: il clou è al tempio, aperto per la celebrazione del culto, ragion per cui non lo si visita e si rimanda ai prossimi giorni: per ora, ce lo giriamo random, finchè si resiste...








 

Mio marito crolla alle 12,37 ora locale. Colpa del jet lag, ma anche della giacca, della camicia, di un'umidità che si tocca e del mercatino indiano. Come dire, c'è un limite a tutto. E così, proprio mentre stavo iniziando a divertirmi, si trova un taxi e si torna in hotel. 
Nota uno: i taxi sono tanti, bellissimi ed economici. Usateli come e quado volete, anche se alla sera il prezzo aumenta sensibilmente. I tassisti sono gentili, affabili e simpatici: quello del mezzogiorno, ci fa una mini lezione di cucina di Singapore, suggerendoci tutte le bettole più immonde (ad una delle quali mio marito aveva già riservato il suo ultimo sguardo) e tutti i tipi di cucina che possiamo trovare: insiste per il Laksa e si raccomanda di non infilarci nelle catene. Qualsiasi posto va bene, per una "great food experience"- basta che non siano ristoranti in serie. 


Rispetto all'ora in cui avremmo dovuto avere la camera, siamo in anticipo. Ma la parola d'ordine, qui, è efficienza, sempre coniugata con "gentilezza" e nel giro di tre minuti siamo sistemati. Devo solo abituarmi ead essere servita, sempre, in tutto e per tutto- e sempre col sorriso. Ma qualcosa mi dice che imparerò presto...


Il "tu dormi pure, io intanto leggo" si trasforma in una due ore di sonno senza sogni, dal quale mi sveglio pronta per aggredire tutti i segreti della città. Non prima dell'atroce scoperta che in questo hotel arci fornito, pure di robe superflue come l'asse da stiro (e sottolineo il punto), manca il phon. 
"chiama la reception e fattelo portare" è il commento insensibile del marito, che la natura ha dotato di una chioma "normale", non della cofana da palombaro della sottoscritta. Invento un sistema complicatissimo di mollette e mollettoni, mentre penso con rimpianto alla piastra da viaggio che giace incorrotta sul ripiano del lavabo di camera mia e poi si parte.
Prima tappa: la bettola fetida di cui sopra. 
Che, vivaddio, è chiusa. 
E io amo Singapore, ogni secondo di più. 



Un altro giro nel quartiere arabo ce lo fa piacere ulteriormente: ora è affollato, vivo, pieno di negozietti deliziosi, di quell'etnico-chic che mi mette d'accordo con mia figlia (io prendo lo chic, lei l'etnico) e che mi fa fermare ad ogni vetrina, memorizzando numeri, punti di riferimento e liste di regali: quel tanto che basta perché il marito si stufi e decida che è ora di fare sul serio. Altro taxi e in cinque minuti eccoci qui...


Segnatevi le date. 
Nel 2005, il governo di Singapore decide di realizzare un parco sulla baia, dell'estensione di 101 ettari (letto bene: centouno, e gli ettari son ettari, anche da questa parte del mondo)
Nel 2006, parte il bando per l'appalto, al quale partecipano 70 progetti e che viene vinto da due studi britannici, uno per il Giardino della zona sud, uno per la zona est, rimandando successivamente quello della zona centrale. 
Nel 2011 apre Bay South, nel 2012 Bay East e giurerei di essere stata pure in Bay Central. 
In tutti i casi, 101 ettati di parco, realizzati in sette anni, massimo nove. 
E noi stam qui a contare i morti, per la copertura di un torrente...






L'attrazione principale sono i giardini , da non confondere con l'Orto Botanico (quello, ce lo teniamo per giovedì, l'unico giorno in cui il marito avrà il pomeriggio libero). Sono suddivisi in due padiglioni, l'uno tropicale, l'altro "normale" e vale la pena di visitarli entrambi, sia per il contenuto che per il contenitore...







 Dentro, è come stare all'Euroflora: solo che da noi capita una volta ogni cinque anni, qui tutti i giorni....












Alcune piante hanno nomi divertenti: questo, per esempio, è "l'albero fantasma"



queste, le lingue di suocera...


e questo, "il Vecchio della Montagna"...


(superfluo dire che è il più fotografato di tutti).
A proposito di foto, ecco l'ultima mania dell'Estremo Oriente: 


Il "porta selfie": una specie di canna uncinata, su cui potete sistemare il vostro cellulare e farvi tutti i selfie che desiderate, senza dover invocare ogni volta la dea Kalì o Elastigirl. Senza contare la comodità della sbarra blocca traffico, che ti permette un'inquadratura perfetta, senza i soliti passanti distratti...

Il secondo edificio è quello della Foresta Tropicale, sottotitolata "addio piega"

 
Ovviamente, il marito che nell'altro giardino doveva essere pregato supplichevolmente per ogni scatto, qui ci ha dato dentro a profusione, sogghignando ogni volta che mi guardava: per cui, godetevi le ultime immagni, mentre io ritento con le mollette...









cena, figuracce e massaggi nella prossima puntata ;-)