mercoledì 28 novembre 2012

Starbooks di Novembre- L'Insuccesso


PicMonkey Collag1e



Stavolta, sono imbarazzatissima. Perchè credo di essere l'unica, nella squadra dello Starbooks, a uscire insoddisfatta dalla verifica delle ricette di Scandinavian Christmas. Su cinque provate, in totale, solo una ha incontrato i miei gusti: delle altre, tre si sono rivelate una delusione e una- quella che segue- non è proprio riuscita. Per cui, per la prima volta da che esiste questa squadra, mi ritaglio una stanza tutta per me, dove esprimo tutte le mie perplessità, per poi passare al ruolo più ufficiale, di quella che tira le somme con equilibrio e obiettività. Un po' come Fantozzi, quando si sfoga in privato, insomma :-)



Quello che penso io: la prima cosa, è che non mi piace la cucina scandinava, quanto meno non quella rappresentata in questo libro. Il che, vale come un'assoluzione per l'autrice e la sua opera. Se le patate caramellate, dopo due ore di cottura e un kg di zucchero, alla fine avevano un sapore pressochè identico alle patate dolci, che tanto vale compravo quelle e me la cavavo in metà tempo, non è colpa dell'autrice. Così come non è colpa sua se i cavolini di Bruxelles coi mandarini hanno un retrogusto amarognolo che copre tutto quanto e dopo i due minuti di cottura in padella che vengono indicati sono ancora crudi: sarà dipeso dalla qualità dei cavolini che ho comprato io. Quello che però mi ha lasciata insoddisfatta, al di là dei gusti personali, è la superficialità del testo. Tre annotazioni in croce, senza nessuna concessione ad eventuali errori. Per dire, se lascio cuocere i cavoletti più dei due minuti previsti (o quattro: comunque, pochissimi), è ovvio che prendano un retrogusto amaro. Ma se li lascio in padella per così poco, son crudi. Allora, avrei preferito che l'autrice entrasse nel merito del problema, raccomandandosi di non prolungare la cottura oltre un tot, per dire. Idem per i pepparkakor con il golden Syrup: fa schifo, il Golden Syrup, se paragonato al miele della ricetta originale. Considerato che oltretutto non  appartiene alla tradizione svedese, sapere perchè si usa questo ingrediente e non l'altro, manifestamente più adatto a quel tipo di biscotto, spiegare il motivo di questa sostituzione avrebbe chiarito le intenzioni dell'autrice. O forse no: però, di sicuro, avrebbe dato l'impressione che dietro a questa pubblicazione ci fosse un sincero desiderio di far conoscere la cucina della propria terra di origine e non quello di portare a termine l'ennesima operazione di marketing.

Il giudizio complessivo della squadra, però, è positivo: tant'è che penso di essere stata semplicemente sfortunata nela scelta. Però, è proprio sulla base di questi insuccessi che son venuti al pettine i nodi di quest'opera, come cerco di spiegarvi con l'esempio di questa torta qui, che è stata un fallimento epocale, come non capitava da tempo immemorabile. 


La Ring Cake- in lingua originale Krasencake-  è una torta svedese tradizionale, a base di pasta di mandorle, che si prepara di solito per le feste nuziali o comunque per le grandi occasioni. Tanto per avere idea del risultato finale, è una cosa del genere

image from here

La si prepara partendo da un impasto fluido, che viene cotto in stampi appositi, piatti e con scanalature a forma di cerchi concentrici, nei quali viene versato il composto e che poi vanno in forno


 
Image from here
Sono venduti a set, sono già proporzionati, per cui alla fine la costruzione del dolce è molto più semplice di quanto possa sembrare a prima vista: una volta cotti gli anelli, si sformano e si impilano, senza nessun bisogno di prendere le misure. Per tenerli assieme, si usa un po' di glassa, di zucchero o di marzapane o di cioccolato bianco- che è quella che crea anche i motivi ornamentali che vedete nella foto. 
Scartabellando in rete, ho trovato molte ricette, fortunatamente tutte uguali: si prepara una specie di marzapane casalingo, con un tpt di mandorle tritate e di zucchero a velo, tenute insieme con dell'albume e poi si cuoce. Fine. (potete leggere tutto qui, in italiano, con tanto di realizzazione bellissima del prodotto finito). 

Rispetto alle ricette tradizionali, la versione della Hahelmann eliminava gli stampi e proponeva quindi un impasto più compatto, con l'aggiunta di marzapane. 
Cito a memoria, perchè non ho il libro sottomano
375 g di mandorle
375 g di zucchero
75 g di albume
500 g di marzapane

Dopodichè, si dovevano arrotolare otto cilindri, ciascuno di tre cm minore dell'altro, per poter ottenere dei cerchi concentrici, da attaccare fra loro con del cioccolato fondente. 

Premetto che tutta questa pappardella qui è frutto di miei personalissimi studi :-). La Trina non si premura di dare nessuna spiegazione, se non le solite tre righe in foodbloggerese che inneggiano alla scenografica bontà del dolce. Non parla di tradizioni, non parla di stampi, neanche dice che lei dimezza il numero dei cerchi, per dire, con ovvie ripercussioni sulla "scenografica bontà" di cui sopra.


In ogni caso, io eseguo alla lettera, come da Starbooks- e ottengo come primo risultato una pasta di mandorle piuttosto fluida, ovviamente non lavorabile a mano. Ma c'è il marzapane da "grattugiare", come da ricetta. Se non che, il mio non si grattugia, per niente. Anzi, dopo un po' che lo tengo in mano, inizia a sudare copiosamente. E a rammollirsi sulla grattugia. Un attimo prima che implori pietà, smetto. E resto lì, con del marzapane spappolato da una parte e un impasto inutilizzabile dall'altra, a chiedermi cosa fare. 

Consulto il libro, in cerca di aiuto. 
Niente
"Grattugiare il marzapane", dice, e nulla di più. 
Provo col coltello, con la mezzaluna, col frullatore - e tutto quello che ottengo è un pappone sformato e molliccio. 
Inizio ad aggiungerlo al composto di mandorle, zucchero e albume. Un cucchiaio per volta. 
non va. 
Provo all'inverso, un cucchiaio di composto nel marzapane. 
Nel frattempo, la cucina è diventata un campo di battaglia, con frullatori sporchi, pile di terrine, tutta la collezione di grattugie tirata fuori dai cassetti- e la carogna della sottoscritta, che pure in mezzo a tutto quel casino trova la via per montare, inesorabile. 
Alla fine, mi faccio coraggio e passo all'impasto a mano. 
E la carogna si trasforma in panico puro, quando realizzo che sono praticamente incollata alla madia.
Faccio un fioretto (se mi stacco, prometto che la brevetto) e mi appello all'estremo diktakt di qualsiasi casalinga disperata, quel "salvate l'impasto a tutti i costi"- e da lì in poi è tutto un aggiungere farina di mandorle, per liberarmi dalla morsa del composto prima e per cercare di tirarci fuori qualcosa, poi. 
Il risultato è quella storta creazione che vedete in foto e che, come prevedibile, ha preso subito la via della rumenta. L'abbiamo assaggiata, faceva schifo. 

Il punto è che, probabilmente, avrebbe fatto schifo anche se fosse riuscita: perchè aggiungere marzapane a un composto di marzapane, per ottenere un dolce alto la metà di quello originale, che è formato da marzapane e basta, significa avere una mappazza dolcissima- e nel mio caso, pure appiccicosa. 
Da buona genovese, ci aggiungo che quello che è finito nella spazzatura è stato circa un kg di pasta di mandorle: siccome in questi casi non bado a spese, fatevi un po' due conti e avrete solo una vaga idea di quanto e come abbia pensato alla Trina, quel giorno e nei due successivi. 
come se non bastasse, pure la scheda telefonica non ha retto a cotanto capolavoro. Si è fulminata, a torta già in discarica. L'unica foto che son riuscita a recuperare è quella che vedete e tutto sommato va bene così, che certi spettacoli bastano una volta sola...


Eccovi le altre ricette- tutte infinitamente più belle di questa
La Ale: Pepper Nuts
La Cristina: Glogg


con dicembre, lo Starbooks va in letargo, per riprendere a gennaio. Tuttavia, siccome è tempo di regali, abbiamo pensato di farvi una sorpresa. che per ora mi limito ad annunciare (perchè se non c'è un po' di suspance, che sorpresa è?) ma che arriverà a breve, su tutti gli schermi. Voi state attenti, che la prima slitta che passa è la nostra :-)
buona giornata
ale



domenica 4 novembre 2012

No, Sellerio, No






... che poi, quando leggi, certi libri, te le strappano di bocca, quelle considerazioni a cui hai sempre voluto fare orecchie da mercante, perchè intrise di così tanta invidia da sembrar solo malignità. Perchè non è un mistero che certe case editrici mi piacciano più delle altre- e che la Sellerio sia fra queste, grazie ad una serie di scelte raffinate, mai banali, complessivamente coraggiose, che negli anni me l'hanno resa cara, quasi come un'amica. Mi basta vedere gli inconfondibili dorsi blu delle sue edizioni, per sentirmi meglio, per dire. Ma quando mi imbatto in titoli come questo, fatico a non accodarmi al coro dei maligni di cui sopra, quelli che indicano in Camilleri l'àncora di salvezza di una azienda ormai alla deriva: perchè se mai c'è cosa che mi fa infuriare è l'essere presa in giro- e quando questo avviene per mano di chi stimi e sostieni e difendi, mi infurio, ancora di più. 

Hotel Bosforo è un romanzo di Esmahan Aykoll, scrittrice turca che vive a Berlino, a cui il successo del libro ha arriso molta fortuna: tant'è che subito dopo sono usciti altri due titoli, con la stessa protagonista, la stessa ambientazione e, se tanto mi dà tanto, pure la stessa trama, visto che una delle certezze che accompagnano la fine della storia e che fra le varie cose che la signora non sa fare, c'è pure quella di destreggiarsi con i meccanismi del giallo. 
E questa è la prima cosa che mi fa arrabbiare: perchè il genere giallo ha delle regole, e scrivere un romanzo giallo è una cosa seria, che richiede capacità di scrittura superiori alla media, oltre che una piena padronanza delle dinamiche sottese allo sviluppo della trama. Non bastano un morto, un detective e un assassino, insomma: in mezzo, ci deve essere un filo rosso, che va tessuto con acume, maestria, abilità, i requisiti fondamentali di chi sa di affrontare un genere che ha nella sfida al lettore una componente imprescindibile e irrinunciabile. Il sottile piacere che pervade un lettore di Gialli, dalla prima all'ultima pagina, è proprio il brivido della sfida: che va condotta con lealtà, intelligenza, acume, secondo una prospettiva che è la fusione di molti punti di vista- quello dell'assassino, quello del detective e quello dello scrittore: perchè, non dimentichiamocelo, "giallo" è un aggettivo: è "romanzo", il sostantivo a cui si appone. 

Lo stesso vale per l'ambientazione, che è tutto, fuorchè un elemento accessorio. Ci sono storie che non possono essere scisse dal loro ambiente: che cosa sarebbe Montalbano senza Vigata, per dire, o Miss Marple senza Saint Mary Mead, o Wallander fuori dalla Svezia, per non parlare della casa di arenaria sulla 34esima o del 221b di Baker Street- ed è meglio che mi fermi, prima di arrivare al balcone di Giulietta e alla casetta di marzapane di Hansel e Gretel: che comunque son tutti luoghi così connotati e connotanti che è immaginare questi personaggi al di fuori di queste determinate cornici è praticamente impossibile. 

Questo vale a maggior ragione quando si scelgno come scenari luoghi di per sè evocativi di fascino e di magia: Istanbul non è Pentema, per dire. (Pentema è pittoresco paesino di poche anime, arroccato su un monte dell'entroterra genovese, giusto per quei due o tre che magari non lo sanno). E fare della protagonista una libraia, per un prodotto che ha come clienti dei lettori, ha un impatto maggiore di qualsiasi altra professione. "Un romanzo giallo ambientato a Istanbul che ha come protagonista una giovane donna, di professione libraia"- questo è il messaggio che emana, forte e chiaro, dalla terza di copertina e da tutte le recensioni in giro sul web e che, dai miei neuroni, è stato immediatamente codificato nell' unico imperativo categorico che con me abbia successo: "Comprami", diceva quel romanzo- ed io ho obbedito. 
Viola Valentino batte Emmanuel Kant, 1-0

Dall'incavolatura annunciata, presumo che sia facilmente intuibile che nessuna di queste promesse sia stata soddisfatta da questo romanzo. Che non sia un giallo, già l'ho detto. Che Istanbul sia un accessorio, lo aggiungo ora: in certi momenti, mi sembrava pure di leggere la Lonely Planet (e io odio pure quelle, detto tutto). Peggio va con la libreria, la cui gestione viene affidata ad una povera studentessa che passava di lì, non appena la protagonista si rende conto che la polizia turca non può fare a meno del suo acume (e che lei non può fare a meno di approfondire la conoscenza con l'ispettore, in rigorosi termini biblici), grosso modo a pagina tre. 
Il che significa che, grosso modo da pagina tre, la protagonista ti stia sui maroni, in un crescendo di franca antipatia che monta a mano a mano che la storia va avanti, in un susseguirsi di dialoghi piatti, di descrizioni da guida turistica per fighetti, di scene hard che ti fanno rimpiangere di non aver speso grosso modo la stessa cifra per comprarti le sfumature di grigio, non fosse altro che per condividere con la portinaia gli sguardi di rinnovato interesse del portalettere, del portamulte e dei vicini tutti.

Il colpo mortale- e qui son seria- lo dà il finale. Non già perchè sia una sorpresa- la trama sfugge di mano alla sua autrice sin dai subito- quanto perchè il tema affrontato è l'argomento più delicato, più devastante, più traumatico che possa essere immaginato. Sceglierlo come fulcro di una storia impone come  sommamente doveroso un rispetto capillare, ancor prima che assoluto, capace di sintonizzarsi in modo pieno su tutte le infinite corde che danno voce alla profondità del dolore di un'anima, ogni volta che è straziata da simili drammi

Trasformare in un accessorio anche questa tematica è cosa che va oltre: oltre il buon gusto, oltre la decenza, oltre la dignità. E oltre la benevolenza che le frequentazioni antiche ti spingono a riservare a chi, nel bene e nel male, ritieni un amico, sia esso il tuo vecchio compagno di banco o la casa editrice che ha rappresentato il porto sicuro delle letture dei tuoi ultimi vent'anni. 

Stavolta, no, Sellerio: proprio no.