domenica 27 dicembre 2015

Cracovia, diario di viaggio: Auschwitz- Birkenau- Czestochowa (prima parte)

czestochowa

Due sono le dannatissime abitudini che ho contratto, negli anni, in materia di viaggi. La prima, ahimè, è la programmazione. Sarà che son figlia d'arte, sarà che per anni ho lavorato anch'io in questo settore, sarà che, mai come quando varco i patri confini, penso sempre che non è detto che mi ricapiti più un'altra occasione, sta di fatto che, in qualsiasi luogo decida di andare, voglio arrivarci preparata. Guai infatti, se una volta a casa mi dovessi accorgere di aver trascurato posti interessanti, che magari si trovavano proprio dietro l'angolo: le volte in cui è successo son precipitata nella disperazione più nera e da allora cerco di correre ai ripari: compro tutte le guide che trovo, leggo diari di viaggio e, soprattutto, cerco di trovare un punto di incontro fra il tempo e lo spazio, visto che il primo mi manca di continuo- ed in vacanza ancora di più.

La seconda dannatissima abitudine, forse ancora peggiore della precedente, è che non riesco a porre un limite alle cose da vedere. Questo è un retaggio paterno, visto che da bambine ci siamo ritrovate ad aver girato  l'Italia a suon di "già che siamo qui, potremmo andare lì" e ora che sono cresciuta ho raccolto a piene mani questa eredità. Per quanto mi sforzi di mettere dei paletti, spunta sempre qualcosa di assolutamente imperdibile, che sta oltre. 
I dintorni di Cracovia, quindi, non hanno fatto eccezione: le mete segnate erano tre (i campi di concentramento, il santuario di Czestochowa e le miniere del sale) e tre sarebbero stati quelli che avremmo visitato. E il come, era un trascurabile dettaglio.

cracovia

Se non che, all'approssimarsi della partenza, ancora non avevo trovato nessuno disposto ad accorpare in una sola giornata Auschwitz e Czestochowa, nonostante Cracovia pulluli di guide e gite organizzati. D'altronde, come mi spiegavano a mano a mano che collezionavo rifiuti, non c'è richiesta per una sfacchinata del genere; chi mai potrebbe intendere "tour" come l'abbreviazione di "tour de force"? Ma quando stavo già per capitolare su un auto a noleggio, ecco che spunta fuori l'offerta che cercavo: il costo è tarato sulla proposta (entrambi folli), ma in ogni caso ne varrebbe la pena. E così, all'alba delle otto e mezza, siamo spaparanzati su un mini bus tutto per noi, non prima di aver timbrato al cupcakes corner, che se camminiamo solo la metà di ieri, hai voglia a bruciar calorie....

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La campagna polacca è diversa da tutte quelle che abbiamo visto finora: è piuttosto incolta, interrotta spesso da brevi tratti di bosco, con poche case ai lati della strada, senza nessun significativo agglomerato. Le strade, in compenso, sono perfette e il traffico scorre veloce, tanto che in meno di un'ora raggiungiamo la nostra prima meta

Auschwitz


Sebbene non siano ancora le dieci, ad Auschwitz c'è tantissima folla. Noi finiamo col ritrovarci sempre in mezzo ad un gruppo di soldati israeliani che seguono una visita guidata. Io non l'ho voluta, nel timore di non riuscire a reggere tempi di permanenza troppo lunghi e, per una volta, ho fatto una scelta azzeccata. Crollo a metà del secondo blocco e da lì in poi è solo un guardarmi la punta dei piedi- incapace di reggere la vista di  qualsiasi altra cosa, lì intorno e un po' più in là. Penso a mia figlia, che prosegue la visita con mio marito, scattando foto in silenzio e leggendo avidamente la guida e mi chiedo se abbiamo fatto bene, a portarla qui. Temo che soffra, che si impressioni, che provi qualcosa di simile a quello che sta capitando a me- ma mai come in questo momento so che è stata la cosa giusta da fare. Nelle mie lacrime, infatti, non c'è solo la tragedia dell'Olocausto e delle sue vittime: c'è anche mia nonna, la mia vera memoria storica, il filtro attraverso cui ho conosciuto tutte le brutture della Seconda Guerra Mondiale, il modello di un insegnamento etico che mi porterò dietro per tutta la vita. L'ho rivista negli sguardi fieri e dignitosi delle foto segnaletiche del reparto donne, tutte intorno ai suoi anni, e ho pensato che lei avrebbe avuto la stessa dignità, la stessa fierezza, lo stesso coraggio: che poi son quelli che mi ha tramandato nelle sue storie di guerra e insegnato nella sua esistenza, rendendo esemplare, ancor prima che reale, un impegno in nome di quei valori che, sin da quando ero bambina, si sono arricchiti di nomi, volti, storie che finivano bene qualche volta e qualche volta no e che da allora, hanno sempre fatto saltare il banco di conti e tornaconti, di qualsiasi tipo.

Auschwitz

Oltre a ciò, c'erano i racconti corali degli anziani e delle testimonianze vive di chi in guerra c'era stato-e magari anche in campo di concentramento - e veniva a parlarcene a scuola, con noi bambini che pendevamo dalle sue labbra e la maestra attenta a che non ci perdessimo una parola di quanto ci veniva raccontato. Mia figlia, questi insegnamenti, non li avrà: la memoria dei miei genitori non arriva fin lì, mia nonna è stata l'ultima di quella generazione ad andarsene e la scuola, beh, lasciatemelo dire:  la scuola  è una vergogna. Alzo gli occhi e la guardo, da lontano, sollevata in punta di piedi per leggere un pannello, al di sopra delle teste degli altri visitatori e  il cuore mi si riempie di tenerezza e di orgoglio. Io ho avuto dei filtri, ad attenuare l'impatto, lei è a contatto diretto con il lato più turpe del male dell'animo umano. Ma so anche che da oggi, per lei, non ci sarà bisogno di moniti a ricordare o di segnacci rossi sui libri di storia, seguiti da colloqui furibondi con i suoi insegnanti: le basterà quello che ha visto, per sempre.


Auschwitz

Auschwitz è il nome che i nazisti diedero ai campi di concentramento che costruirono intorno al paese di Oswiecim, annesso al Reich sin dal 1939 e da quel momento ribattezzato in questo modo, sull'onda della pronuncia tedesca di un nome polacco. Nessuno all'epoca avrebbe potuto immaginare che nel giro di pochissimi anni questo nome sarebbe diventato sinonimo prima di terrore, negli anni della guerra, e poi di orrore: il paesaggio circostante, infatti, è quanto di più placido e ameno ci si possa immaginare. D'altro canto, fu proprio per questi motivi che Rudolf Hoess scelse questi luoghi come sede di un nuovo campo di concentramento per i prigionieri, complice anche la presenza di caserme abbandonate, risalenti alla prima guerra mondiale: nessuno, dall'esterno, avrebbe mai potuto sospettare di nulla. La prima ondata di prigionieri arrivò nel 1940 e contava 728 polacchi. Successivamente, il campo arrivò ad ospitarne una media che oscillava fra i 13000 e i 16000, con un picco di 20000 nel 1942: si trattavi di Ebrei di tutta l'Europa, di cittadini  polacchi, di prigionieri politici, di zingari e anche di omosessuali, tutti accomunati dallo stesso destino di sofferenza e di morte. Nel giro di soli due anni si rese quindi necessaria l costruzione di un secondo campo e poi di un terzo, tanto che, alla fine della guerra, con il nome di Auschwitz si intendeva un complesso di tre luoghi distinti: Auschwitz 1, lo Stammlager, vale a dire il campo madre; Auschwitz II- Birkenau, adiacente alla stazione di arrivo dei convogli dei prigionieri, ed Auschwitz III, nel vicino paese di Monowice. Oggi si visitano solo i primi due, che sono stati trasformati in veri e propri musei: gran parte delle costruzioni è rimasta intatta, qualcosina è stato riscostruito, dopo che i Nazisti tentarono di distruggere quanto più possibile, per non lasciar tracce dei loro crimini. In certi casi, come a Birkenau, si è deciso di non ricostruire, lasciando che l'evidenza parli da sè, attraverso le enormi macerie dei due forni crematori fatti saltare in aria dalle SS, nella loro ritirata.

Auschwitz


La visita ha inizio di solito da Auschwitz 1 e porta via almeno due ore, intense. Le visite guidate durano ovviamente di più e sono a pagamento, , mentre l'ingresso è gratuito. Si possono scattare fotografie e, anche se l'affollamento è notevole, non ci sono limiti di sosta nelle singole sezioni del Museo. L'unica cosa richiesta è, ovviamente, un atteggiamento rispettoso delle vittime morte in quei luoghi e, a parte il solito cretino che ha lasciato un autografo sui muri della camera a gas, l'invito è rispettato. Entrambi i campi aprono alle otto e per raggiungerli, da Cracovia, ci si impiega circa un'oretta. Noi siamo arrivati alle 9 e mezza e, come vi dicevo, c'era già parecchia folla, ma niente in confronto a quando siamo usciti: se riuscite ad arrivare ancora prima, è meglio.

Auschwitz

Birkenau (in polacco Brzezinka) dista 3 km circa da Auschwitz ed è l'altra tappa obbligata di questo viaggio. Sono i resti del campo che si estendeva proprio a fianco della stazione di arrivo dei deportati e, se possibile, offre una testimonianza ancora più agghiacciante della precedente, a cominciare dalla vastità dei suoi spazi: qui, infatti, venivano ammassati centomila prigionieri, in baracche che poggiavano direttamente sulla palude, in condizioni igieniche allucinanti, ulteriormente peggiorate dall'enorme quantità di topi. E' a Birkenau che i Nazisti concentrarono il maggior numero degli impianti di sterminio, con 4 crematori, 4 camere a gas permanenti e altre due provvisorie, in fattorie poco distanti, oltre che fosse e roghi.

birkenau

Anche se mi sono ripresa, quando arriviamo a Birkenau sono comunque ancora scossa. Mia figlia è stanca e nessuno ha voglia di discutere su quello che prima ci sembrava l'argomento del giorno (cosa vedere, come e in quanto tempo) e che adesso, francamente, ci pare risibile. Decidiamo di arrivare fino in fondo alla ferrovia, dove si erge un monumento alla memoria delle vittime, ai lati delle rovine dei due forni crematori, tralasciando la visita ai blocchi poco distanti. Il sole è alto nel cielo e un'occhiata agli orologi ci dice che stiamo camminando senza sosta da quasi quattro ore. In effetti, siamo stanchi e la prossima meta è ancora lontana. Torniamo al nostro austista, pronti a ripartire sotto un sole che, dopo qualche tentennamento, ha deciso di fare sul serio.
Czestochova ci aspetta.

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