domenica 28 giugno 2009

Caro Felipe

Caro Felipe,
a nome de la delegacion italiana del Congresso de Los Engegneros ( yo e il mi hombre), son ansiosa de dar gracias a Usted per la hospidalidad muy carinosa reservada, che per mucho tiempo tenerà puesto ne la profondidad del mio corason- e ne la largueza del mi jiro-vida.
Aprofito tambien per esprimere todo el mio rincrefimiento per la mancada partecipatiòn de Usted Majestas a la cerimonia del Gran Galà- e sobra todos para la assencia de la mujere de Usted, princesa Letitia, en onor de la quale è stata ingajiata una competiciòn durifima fra los sastre, lo zapateras et los estucatores de toda Italia par replicar la puerca figura de la subscrida, che ha comunque lafiato un'imprefion che a Vigo no fe fcuerderà nunca mas.
Para che la Prinfesa teneffe una endisposicion, a feguito da una indigeftion di pimientos a la espagnola, segundo una recetas proveniente da l'Italia, poco clara su le dosos, espesialmente su aquel del pimiento picante: e seccome el cocinero real, effendo cocinero e pure real, para cocinar nesesita de la bilacha e non de l'ocho, como envece esta tal Ornella, che yo no conosco, este claro, ha fato confusion, con el resultado che alla Letitia el venìo un calor formidable, che han dovuo tapizar lo sedil del trono- e los malignos l'han sopranomenada la princesa del pimiento.
E comunque, la Galisia es una terra presiosa, ricca de tesor, de meraviglias natural, de pueblos de encanto e yo so estada muy bien, a parte dos inconvenientes.
El primo, è che es nesesario esplicar a los turiftof que aquel liquido blanco, che los Galisianos hablano vigno, es in realidad una bevanda mucho infidiofa, che ascende bien largo da la gola, par estacionar ne las ginochias, e da lì enviar stranos stimulos a lo cerebro, per cui, dopo quaranta agnos e pasa de honorada reputasion, te spudani in dos secundos, scambiando besos con l'hoste o simulando la capriola del Thomàs Skuravigno, apena sai che la tu contigua de pulman habita a Oviedo.
El segundo enconveniente es la lengua gallega, che est mas differente da los castiglianos, especialmente da aquel che hablamos in esti jorni por todas partes, nel forum , su fas buc et con los amigos, e esto puede crear desconcerto. Por ejemplo, la primera sera, al primero Gala Cocktail, el colaborador del mi hombre me presenta un un caballero muy fasinoso, el qual, segundo la tradiscion espagnola, al principio me abraza, despues me basa e alfin me habla: " Te gusta me cojones?"
Ahora, Principe, tu ha da saver que yo son una mujera de mundo, abierta a le novidad e a le diferensias de culturas e, sobra toto, me sopuerto el mi hombre che, quanto a batudas tontas es un campion. Ma a estos puento, A ESTOS PUENTO....ninguno jamas....
Me estava prendendo un mancamiento, dal sudor me colapsava l'acconjatura, pensava d'esser in un remake de la propuesta escandalosa, per junta sin Robert Redford , cuando un camarero me presenta una cofana de muscolos e el caballero , indicando los, pregunta "ahora, te gusta me cojones????" "Me cojones, se me gustan" ho respuesto, renfrancada, cuando ho comprendido l'arcan- e da tan solievo me ne son fata fuera dos cofanes, justo por renfrancarme para todo.
Dia siquente, c'è estada la jita con le mujeres: yo tenevo una ganas de dormir che no te cunto, despues una noche trascursa a smaltir las borachas ( "jamas agua sobra los muscolos") e me son infilada in fondo all'autobùs, pronta a quetarme el primera posibile. e estava ja per serrar los ochos, cuando la juida fa:
" Rofario"
Uffegnor, la oracion, ho pensado, recordando le jite de les monje. Asolo che ahì i nombres de lo santos eran "Pedro, Juan, Paulo, Santiago" e a ogni invocasion se rispondea "orapronobis". Aquì, al contrario, los nombre eran Annunciasion, Nadividad, Maria del Carmel, Maria Dolores, Loreto, Luisa Santos e ben ocho Pilàr e ogni volta respondevan "presente" e se sbrazavan como loche, gridando "mirame, son en està".
Jamàs visto nada de similar: pareva d'estar a l'escuela, durante l'appelacion, atro che a un rofario....Han appellado pure una santa Alehandra e sicueme yo no respondeba, han comenzato ad additarme, a ulular "esta allà, esta allà"- un'indecentia, una verguegna, una mancanza de respecto mai vista... mescular allà con el rofario, tampoco Zapatero lo abria facho....
Per la cronca, Fatima no è venida.
E proprio cuando estavo scivolando nel mundo de los suegnos, sono estata desvejata da un urlo lancinate, un grido terorisante de parte de les mujeras, che, passando entre dos bracci de mar, a la vista de le colture des mascaridos, han preso a gridar , todo juncto : "me cojones!!!! me cojones!!!! mira, alehandra, mira me cojones!!! Te gustan, me cojones????"
E que pudre dir, mi querido Principe????
"me gustan sì, i mecojones. me cojones, se me gustan..."
Cordialidad
Alehandra

martedì 23 giugno 2009

Polpette di carne in salsa agrodolce

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Caro Principe de Laf Afturias
me efcufo per el mio espagnol, ma non lo hablo da la famofa noche brava del capo de agno del millenovesientonovantadof, e los postumos fuero asì dolorofi che da alora ajo resolto che hablar espagnol es divertiente sul momiento, ma para nada la magnana dopo.
E tuttavia, tiengo urgiensa de conferir con la vostra Majestad por què pare che el proximo jueves nosostros ce encontreremo alla serata de Gala de Los Ingegneros Navalos de Espagna, a Vigo.
Quel desastrado del mi hombre me ha enformado folo ieri, a las cinco de la tarda, del Gala- e folo esta noche della Vostra Presentia- e folo esta magnana della vostra vera identità, per cui el Principe de Laf Afturiaf no è un perfonagio de invencione, ma un principe en carne e oxa e nada meno che Felipe de Espagna, el marito de la Letizia Ortiz, che è in competifion con la Carlà per elegancia e fimpatia- e ahora es muy tardi por rifar un intiero guardaroba para l'occafione.
Tiengo a precisar che con regular preaviso anche yo posso far la mia puerca figura, efpecialmente se si passa da Lourdes, ma con asì poco de tiempo al maximo posso sfoggiar el medesimo habito de la Letizia cuando encotrò la Carlà, quelo tutto plissado, con la sola diferencia che io les plisses le tiengo in todo el cuerpo, fino a los piè. De mas, el mio punto de fuersa è la conversasion, che procura un directo stordimiento, mejor de la Letizia e la Carlà junctamente.
Epperò, non me siento de sottoporla al tormiento de una intera noche in compagnia de los ingegneros: que son intollerabiles già da solos, figuriamoces todo al miesmo tiempo. Ajungo anco che con losotros ci sarà anco el mi hombre, que es el più ingegneros de todos, que hablerà toda noche de elicas e de motores e quando verrà el momiento del brindisi, censurerà la cocina e il cocinero, dicendo che la madre de usted resulta mejor.
Quindi, caro Principe de Laf Afturiaf, ftia a Palacho, quella noche, a jocar con los ninos e a tifare Real e, sobra todo, tienga a casa la su mujera, che sennò se annoierà a muerte e rovinerà por siempre el caracter simpatico e el forrifo gioiofo. E nosotros, se riuneremo un'otra vez.....
Cordalidad
Alehandra
POLPETTE IN SALSA AGRODOLCE


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2 hg macinato di manzo
2 hg macinato di maiale
mollica di un panino bagnato nel latte
2 uova grosse
una bella manciata di parmigiano reggiano grattugiato
una puntina di aglio (oppure fregare l'aglio nel contenitore dove si impasta)
poco prezzemolo tritato finissimo
tanta maggiorana
sale

Si impastano tutti gli ingredenti, si fanno delle polpettine che si passano direttamente nel pangrattato e si fanno frigger ein un contenitore stretto, in modo che l'olio le ricopra tutte, senza bisogno di girarle. Farle asciugare bene su carta assorbente e servire caldel

si servono con una salsa di pomodoro agrodolce, preparata con 300 g di salsa di pomodoro, 1 dl di aceto di mele e 40 gr di zucchero.


Alessandra

P.S. ci sentiamo al ritorno da Vigo, ma il blog continua con le ricette di Daniela e le ultime pagine del diario del viaggio in Sicilia.

domenica 21 giugno 2009

Coconut bread ( il plum cake della cecilia)


di Alessandra

cocco bread

Quello che segue è un post datato, che risale al 7 gennaio di quest'anno, quando Genova si è svegliata coperta dalla classica coltre di neve. Il che potrebbe far sollevare il sopracciglio anche al più ben disposto di voi, perché va bene che non c'è più la mezza stagione, va bene che facciamo prima ad aspettare Godot che tre giorni di fila di bel tempo, va bene che anche il bucato di ieri sera è andato a farsi benedire, sotto l'ultimo dei temporali, ma inaugurare l'inizio dell'estate con un memoir della nevicata del 2009 , forse, è un po' troppo.
In verità, però, la neve non c'entra : o meglio, all'epoca era stata la fonte di una serie di ispirazioni culinaria fra cui il mitico plum cake del sottotitolo, ma oggi non ha più nessun senso, anzi: anch'io, come tutti, ho voglia di sole, di vacanze, di aria aperta.
Tuttavia, non posso fare a meno di inserirlo qui ed ora, per il semplice fatto che è da qualche tempo che mi accorgo che a questo blog manca un pezzo e che questo pezzo si chiama Cecilia. Che, nel tourbillon di amicizie della mia vita, è quella che resiste impavida da oltre vent'anni, secondo me perché è l'unica dotata di un seppur minimo bagaglio di doti intellettuali tali da poter riuscire ad apprezzare le mie altissime virtù, secondo lei perché è l'unica che ancora riesca a sopportarmi.
Quindi, siccome questo blog è un diario quotidiano della mia vita, e siccome una bella fetta di quest'ultima la condivido con lei, mi tocca presentarvela, attraverso uno dei ritratti più sublimi che mai siano usciti da questa penna, e non capsico perché, dopo averlo letto, mia figlia mi abbia tenuto i musi per una settimana ( la Cecilia è da anni sulla vetta dell'Olimpo personale della creatura e non accenna a schiodarsi da lì) e sia stata inversata come un guanto da mio marito, perché pare che non sia così che si trattano le amiche. A conferma di quello che dicevo sopra, la protagonista, per contro, ci ha riso alle lacrime, al punto che ancor oggi, a distanza di mesi, quando le ho preannunciato che sarebbe uscita dall'anonimato delle persone reali per diventare un personaggio di questo blog, ha convenuto che migliore presentazione di questa non ci potrebbe essere. Anzi, ha anche aggiunto di metterci il sonoro....

Stamattina ci siamo svegliati sotto la neve. O meglio: voi vi sarete svegliati, perché io sono stata tutta la notte in piedi, a saltellare per casa, un po' per il freddo e un po' per l'eccitazione che ogni volta mi prende quando nevica. Può essere che sia una sintomatologia grave, di sicuro è congenita e non curabile, visto che ce l'ho praticamente dalla nascita, l'ho trasmessa alla figlia e con gli anni peggiora: è che la neve, per me, esalta il lato più bello della parte domestica della mia vita, dai plaid della nonna con un bel libro giallo, fino alle tazze fumanti di cioccoalta calda. Da accompagnarsi, rigorosamente, con un dolce antico, di tradizione, di quelli che, già dalla preparazione, ti riportano indietro nel tempo, a quando queste cose le facevano la nonna e la mamma e tu, al massimo, potevi sperare di pulire la pentola o di avere un pezzetto di pasta cruda, in attesa che fosse tutto pronto. Una torta di mele, una crostata con la marmellata di prugne, un ciambellone soffice da prima colazione, per intenderci. Oppure un bel plum cake, come questo qui, preparato con la ricetta della prima land lady ( che sarà morta e sepolta da vent'anni, mi sa), un trionfo di canditi, di uvetta e di burro, uscito fragrante dal forno giusto ieri pomeriggio e che sembrava quasi aspettasse la neve, per essere mangiato.
Quasi.
Già, perché fra l'operazione di sforno e la nevicata, è arrivata la Cecilia.
Che, per i due o tre che non lo sapessero, è la mia segretaria lionisitica- o meglio: l'incarnazione dell'idea platonica della segretaria: efficiente, puntuale, misurata in tutto...
In tutto, tranne che negli appetiti.
Mai vista persona mangiare di più, giuro: e questo a discapito dell'aspetto da "così piccola e fragile" per cui nessuno, vedendola, si immaginerebbe che dietro quelle fattezze preraffaellite e sotto quei chili di maglioni si nasconda uno stomaco senza fondo, da fare invidia ad intere colonie di struzzi.
E' evidente che parlo a ragion veduta, forte delle decine di cene che l'hanno vista arrivare in rigoroso anticipo, con il solo intento di abbuffarsi prima dell'arrivo degli ospiti. Presentandosi sistematicamente con un " che cosa c'è da mangiare???" e finendo ogni volta per scegliere ora il bigné che tiene in piedi la montagna di profiterol, ora la tartina faticosamente incastrata in mezzo al piatto, ora rovinando tutti gli effetti artistici studiati per giorni dalla sottoscritta e realizzati con sudore, fatica e lacrime.
E sorvolo sulla volta che, con l'intento di aiutarmi, si è fatta fuori tre quarti ( 3/4) del gelato che sarebbe dovuto servire a riempire un panettone da un chilo, sotto gli sguardi atterriti delle mie amiche che ancora non la conosncevano e che non osavano dirmi che, per ogni cucchiaio che finiva al posto giusto, ce n'erano tre che si ingollava beatamente giù dal gargarozzo...
Ieri, ovviamente, non è stata da meno: giulio non aveva ancora finito di tagliare la prima fetta che già era sotto con la mano, "su, su, muoviti che c'ho fame", e poi un'altra e poi un'altra ancora, fino alla completa sazietà. dopodiché, cosa pensate che abbia fatto? Che mi abbia ringraziato, per averle dato la merenda? Che abbia fatto una novena alla befana, per aver avuto in sorte un'amica come me, che son vent'anni che la sostiene, tipo punto di ristoro ai raduni degli Alpini? Che abbia detto, " complimenti, che buono, mi dai la ricetta?"
nossignori: prima si è fatta un garbato ruttino di gradimento che le vetrerie di casa hanno tintinnato per mezz'ora, dopodiché, guardandomi con fare accusatorio, ha sentenziato che c'era troppo burro e infine, non paga di quanto già non avesse fatto, ha iniziato a tirar fuori metri di rotolini di ciccia dalla cintura dei calzoni, dicendomi che adesso, per colpa mia, si sarebbe dovuta fare gli straordinari in palestra e un guardaroba nuovo. Il tutto, ovviamente, sorseggiando una pinta di camomilla- perchè il tè- guai al mondo- le sta indigesto...


COCONUT BREAD

cocco bread




300 g di farina
70 di burro
150 di farina di cocco
300 di zuchero
2 uova
2 cucchiaini di cannella
200 ml di latte
una stecca di vaniglia
2 cucchiaini di lievito

Far bollire il latte e mettere in infusione i semi di vaniglia.
Far fondere il burro e lasciar raffreddare.
Quando latte e burro sono a temperatura ambiente, versare tutti gli ingredienti nel robot da cucina e mescolare bene il composto: dovrà rimanere piuttosto liquido e un po' grumoso, a causa della farina di cocco.
Imburrare e infarnare uno stampo da plum cake da un litro e mettere inn forno caldo a 180 gradi, modallità statica, per 50 minuti. Se dovesse scurire troppo in superficie, cuocete gli ultimi dieci minuti coprendo lo stampo con carta stagnola.
Rispetto ai plum cake tradizionali, che partono da una base di 4/4, questo è molto più leggero: solo 70 g di burro e 2 uova, per un totale di almeno quindici fette di dolce...
Perfetto così, ma anche con banane fresche ( io le odio e non lo farò mai, ma la morte sua mi sa che sia quella) oppure con altra frutta a picere. Se preferite che si senta di più il cocco, dimezzate la cannella o toglietela del tutto.
Va da sè che il plum cake del post fosse quello very british, ma stavolta mi son messa a vento: la stiamo aspettando da un momento all'altro ( la Cecilia, si intende) e non sia mai che mi accusi di averle rovinato la prova costume...
buon appetito
alessandra

venerdì 19 giugno 2009

Rillettes di sgombro



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Ieri ho spedito, con sempre maggiore ritardo, la sempre meno consueta newsletter settimanale e, fra le risposte in arrivo, qualcuno si chiedeva che effetto facessero i miei post: se cioè questa diffusione planetaria (cito testualmente) degli affari di famiglia avesse qualche esito sul raddrizzamento morale delle persone coinvolte o, quanto meno, di conforto spirituale da parte delle nuove amiche della sottoscritta che, puntualmente subisce.
Non nascondo che l'interrogativo mi ha fatto un po' sorridere- amaramente, sia chiaro: intanto perché ho scoperto che, fino a ieri, molti di voi credevano che la newsletter arrivasse solo a loro e non a settemilaottocentocinquantasette persone, sparse a tutti gli angoli della terra (che, per inciso, se è rotonda, non capisco come faccia ad averci gli angoli, ma già di prima mattina preferirei non inquietarmi con questi problemi); poi perché, come al solito, mi state sempre tutti a sentire ( la domanda di questa volta era: volete continuare a ricevere la niusletter??? mi rispondano solo i no- e sono arrivate circa settemilaottocentocinquantasette suppliche - nooooo, la radiazione nooooo) il che conferma che, se in tutti 'sti anni non avete imparato a cucinare, una ragione ci sarà - e non è da cercare nell'imbranataggine della vostra maestra; infine perché ho belle fresche le reazioni all'ultimo post, quello dei cellulari, sia sul fronte del conforto morale delle amiche e della redenzione della figlia, come schematizzo velocemente qui sotto:
1. le amiche. Al solito, non si sono fatte attendere ed hanno anzi confermato la loro inclinazione per il Pronto Soccorso Spirituale, declinato per l'occasione nella versione double face, con il lato A dal titolo " ma che donna fortunata ad avere una figlia così" ed il lato B " ma che donna fortunata ad avere ancora una figlia così, non ti puoi immaginare cosa è toccato a noi...". Quindi, come vedete, conforto assicurato
2. la figlia. Inseguendo una pia illusione, ho sperato che la lettura del post la facesse rinsavire, stile catarsi aristotelica, visto che comunque di tragggedia si trattava. E devo confessare che lì per lì ci ho anche un po' creduto, visto che alla prima lettura, non ha mosso ciglio. Alla seconda, ha iniziato a sorridere. Alla terza, era tutto uno sganasciamento, con tanto di telefonate alle amiche- vai a leggere il blog di mia madre, sì lo so che è una palla, ma oggi no- e commento finale " son troppo un mito" a chiudere il tutto.
A coronamento finale, sabato scorso sono rimasta chiusa fuori di casa.
Premetto che il cellulare nuovo è stato acquistato di venerdì , con corredo di raccomandazioni. suppliche- minacce incluse, tutte tese a ricordarle che stavolta- STAVOLTA- non ci sarebbero stati né ictus né archetti di sorta e 'sto telefonino doveva resistere almeno per un anno. Superfluo aggiungere che a ciascuna di queste raccomandazioni-suppliche e minacce sono corrisposte assicurazioni granitiche, con espressione contrita, stile martire prima del sommo sacrificio, "che guarda mamma, ti gggiuro che questo lo tengo trooooppo bene, che non lo uso nemmeno, che la musica non ce la metto, che il bluetooth non lo accendo" e variazioni sul tema. Questo, dicevo, venerdì, nel tardo pomeriggio.
Il giorno dopo, intorno alle 4, vedo a fare la spesa e vengo colta da un rarissimo attacco compulsivo per cui compro mezzo chilo di lievito di birra, io che panifico una volta ogni tre mesi, e mai d'estate, ma tant'è. Sulla via di casa, incrocio il marito che va a ritirare la pagella della creatura, e in quell'istante realizzo di non aver preso le chiavi di casa.
"amen, mi dico, c'è la figlia" e mi attacco al campanello, pensando di sponda che fa un caldo bestiale e il sole non giova a mio lievito: decido allora di provare a telefonare e faccio il numero di casa.
Tre minuti dopo, il lievito ha preso a trasudare e la via rimbomba della suoneria del telefono, senza che nessuno risponda
Cinque minuti dopo, mentre il lievito sembra un grumo di fango dopo la pioggia, il telefono di casa squilla che neanche le trombe del giudizio ed io interpreto la parte principale della telenovela "Albaro come Secondigliano", gridando a squarciagola il nome della creatura, arriva la figlia numero uno della Daniela.
Che, per chi non lo sapesse, è la Causa Prima della nascita di questo blog, la base su cui poggiano i rapporti di buon vicinato, l'amicizia fra me e sua madre, le collaborazioni passate presenti e future. E questo non per una insana passione per la cucina o la blogsfera o entrambe le cose, ma semplicemente per la profonda ed inspiegabile somiglianza con mia figlia, con cui condivide misteriosi processi logici, otre a una vita semi contemplativa nell'iperuranio, che se gli altri hanno la testa fra le nuvole, 'ste due ci tengono i piedi, e tutto il resto a vagare in un mondo di fantasie e ideali preclusi a noi poveri umani.
"prova sul cellulare", mi suggerisce, senza fare una piega.
" come, sul cellulare...è sotto la doccia... non può mica essersi portata il cellulare in bagno, scusa... ne ha già rotti tre, questo è nato eri..."
" il cellulare", prosegue imperterrita.
Vabbè, ve la faccio breve: ha risposto al primo squillo.
La tesi della difesa, secondo la quale era appena uscita dalla doccia, proprio nello stesso preciso istante in cui l'ho chiamata, non è stata accolta dalla giuria, considerata anche la cover umidiccia e una sospetta impronta rettangolare sul marmo del lavandino...
La pubblica accusa si è poi sfogata in cucina, con le briciole del lievito supersiste e con un pane che rispecchiava peinamente il suo umore...



mercoledì 17 giugno 2009

hummus di piselli


di Alessandra

hummus di piselli

Ho smesso di interrogarmi sulle ragioni che presiedono ai pensieri e alle azioni di mia figlia quando, in seconda elementare, contattata da un gruppo di madri allarmate dall'ultima crisi di nervi della maestra, che si era messa a dare testate nel muro shockando i bambini, le avevo chiesto con il cuore in gola se si era accorta di qualcosa e, nel caso, se si fosse spaventata. Sì sì, era stata la risposta- le testate le aveva date ma no, no-lei non si era spaventata per niente perché, aveva aggiunto delusa, non era uscita neanche una goccia di sangue.
Quindi, non chiedetemi perché, da qualche anno a questa parte, la creatura ha sviluppato una passione insana per due oggetti che a noi non appartengono, né per tradizione, né per cultura, né per piacere personale. Il primo- udite udite- è il Guinnes dei primati, che per me è la quintessenza dell'inutilità dell'agire umano, per giunta arricchita di tutti i risvolti fastidiosi che la spettacolarizzazione- di qualsiasi natura essa sia- comporta. Non a caso, nella mia biblioteca che pure, negli anni, si è fregiata di una serie di ciofeche da paura, il Guinnes dei primati non è mai entrato, neppure quello dell'anno prima, svenduto a metà prezzo dai remainders, o quello regalato con i punti di non so quale raccolta. Vi lascio immaginare, quindi, lo stupore che mi prende ad ogni giro in libreria, quando si attiva puntuale la calamita che conduce mia figlia dritta dritta davanti al tomo incriminato, in qualsiasi punto del negozio esso si trovi. La penultima manifestazione è avvenuta nella libreria del corso principale di Trapani, l'ultima una settimana fa da Feltrinelli e ogni volta si ripete la stessa scena, con lei che, normalmente inappetente, saliva davanti alle foto rivoltanti di panini più lunghi o torte più larghe del mondo e si appassiona alle sorti dell'uomo più grasso o della donna più bassa del pianeta.
L'altra grande passione incompresa sono i cellulari. Sì, lo so che qui sono in buona compagnia e che posso sempre consolarmi col mal comune mezzo gaudio: ma ditemi voi cosa trovate da gioire quando vi accorgete che quella che sta annuendo ritmicamente davanti a voi da un quarto d'ora non è una figlia improvvisamente rinsavita, che riconosce che avete ragione, ma una specie di ameba con auricolare, che sta tenendo il tempo della suite in do maggiore di Bach. E ditemi di che cosa vi dovete rallegrare quando, dopo averla chiamata invano per la cena, quella si giustifica con fare scandalizzato, dicendo che stava finendo una partita di snake, con lo stesso tono con cui vi avrebbe detto che avete interrotto un tete a tete col Padreterno. Senza contare gli sms che arrivano a tutte le ore del giorno e della notte, le ricariche che dovete farle, più o meno a tutte le ore del giorno e della notte e i modelli di cellulari sciorinati come rosari- che guai a chiederle dov'è Brindisi o che cos'è il kilimangiaro, ma i modelli dei Nokia , in ordine cronologico, quelli, signori, li sappiamo a menadito.
Questo mese, però siamo riusciti a romperne tre di fila. Letto bene, tre, giurin giuretto. La prima è stata la perdita più dolorosa, il modello cult, quello farcito stile borsa di mary poppins, dove c'era dentro di tutto e di più e che è scoppiato di prima mattina, provocando una mezza crisi isterica, che neanche una prefica prezzolata per piangere avrebbe saputo uguagliare; il secondo è stato il mio, consegnatole sano a tamponamento di un'emergenza, e restituito leso nella parte sinistra ("ha avuto un ictus", ha setenziato, seria), per cui se avete un numero di telefono che inizia per 1, mettetevi tranquilli che per un po' non vi chiamo. L'ultimo è stato il cellulare di riserva, un prototelefonino a metà fra uno scaldabagno e una radiolina anni '70, che, nei metodi educativi miei e di mio marito, sarebbe dovuto essere una specie di Madre di Tutte le Punizioni, quello che, con un po' di sana umiliazione, le avrebbe portato un po' di altrettanto sano giudizio. Ovviamente, ha fatto fuori anche quello, ma- e qui sta tutta la maestria di mia figlia- non per colpa sua: è stato centrato in pieno dall'archetto del violino della sua compagna, durante una prova d'orchestra.
Credetemi, le ho provate tutte per farla cadere, ma non c'è stato verso: la versione tiene, e pure benissimo, e pure con risvolti amorevoli, visto che il cellulare era stato tirato fuori "per avvisarti che tardavo, mamma, così non stavi in pensiero". Per cui, l'altro ieri, mi è toccato comprargliene un altro- e pure alla moda perché pare che il modello punitivo sia fuori produzione, come continua a sostenere sorniona la creatura. La quale, mi sa, ha preso i classici due piccioni con una fava, entrando di diritto, con il cellulare nuovo nel Guinnes dei primati con l'ambito titolo di chi ha rotto più telefonini in un mese- e pure nei modi più strani....
Ricetta superlativa di quel mostro di bravura della Mercotte, che questa volta si è inventata nientemeno che....
HUMMUS DI PISELLI

hummus di piselli

1 kg di piselli freschi da sgusciare
2 cucchiai di olio EVO
2 cucchiai di tahini
succo di 1 limone
1 spicchio d'aglio (facoltativo, io l'ho meso e sono stata contenta)
sale, pepe
paprika per servireCentra

Sbucciare i piselli e farli cuocere a vapore.
Poi frullarli con tutti gli altri ingredienti, fino ad ottenere una purea liscia
N.B. La mercotte non lo dice, ma bisogna aggiungere l'acqua, almeno 100 ml: deve ottenersi una purea molto morbida, non liquida ma morbida: ne aggiungete un po' per volta, continunando a frullare, fino ad ottenere la consistenza desiderata.
Servire spolverizzato di paprika
buon appetito
alessandra



lunedì 15 giugno 2009

La tredicesima storia

Io mi sono laureata molto presto. Anzi, ad essere precisi, mi sono bi-laureata in tempi record. Prima che attacchiate con i complimenti, però, va detto che il merito è stato principalmente non della sottoscritta, quanto di una serie di fortunosi eventi di fronte ai quali non avevo altre alternative che schiacciare il pedale dell'acceleratore e arrivare presto in fondo. Di qui c'era un padre adorato e adorante, per il quale la laurea della sua primogenita si era caricata di significati imperscrutabili e importanti e che io non avevo nessuna intenzione di deludere; di là c'era un lavoro - anzi: il lavoro, quello per il quale avevo sparigliato le carte, mandando a monte progetti di carriere più gloriose per inseguire quello che allora era il sogno della mia vita- ottenuto a tempo di record, perché stranamente al posto giusto nel momento giusto, ma che andava mantenuto e difeso con la sola freccia di cui disponeva il mio arco, e cioè le carte in regola per poter giocare la partita. E queste, non avendo altri santi in paradiso che le mie capacità, passavano giocoforza anche per le lauree.
Va da sè che abbia studiato di corsa: dover bruciare le tappe significa non potersi concedere un sacco di lussi, che allora erano il pranzo alla mensa degli studenti (il lusso più ambito di tutti) , lo scambio degli appunti, la pausa caffè in biblioteca, l'approfondimento degli esami più amati; il tutto facendo salti mortali fra ricevimenti di professori che non c'erano, appelli che saltavano, programmi che raddoppiavano, perché, da lavoratore, dovevi scontare il privilegio di non poter frequentare, di studiare all'alba o a notte fonda, di dover spendere metà stipendio in libri inutili e costosi, portando all'esame il doppio degli altri.
Trovare una strategia divenne una scelta obbligata, che mi costrinse a mettere in cantina uno scalpitante spirito critico e una terrificante vis polemica, per imparare a memoria le dispense dei professori, studiando, in pratica, non la materia, ma quello che i docenti avrebbero chiesto all'esame. Fu così che mi laureai in fretta, in entrambi i corsi, ovviamente con una media da far paura, quale compete, nella scuola italiana, a chi pensa con la testa dei professori e non con la propria. Ma fu così che, appena sgravata dagli obblighi istituzionali, decisi che era venuto anche per me il momento di prendermi i miei spazi, su tutti i fronti. E mentre, da un lato, recuperavo il tempo perduto sul fronte del puro divertimento, dall'altro cercavo uno spazio per rivendicare il diritto ad esprimermi in campi più nobili di quanto non fossero le piste di una discoteca o i retrobottega dei forni per la prima infornata di focaccia della notte.
Fu così che fondai il V.I.P.
Si trattava di un circolo di lettura, il cui nome era l'acrostico di Vietato Il Prestito, essendo già all'epoca una bookalcholic al penultimo stadio, e il cui scopo era quello di parlare di libri in libertà, senza cioè dover far coincidere di necessità il nostro giudizio con quello che fino ad allora avevamo letto sui manuali o, peggio, con quello che i nostri insegnanti volevano che ripetessimo a pappagallo. Ne facevano parte, oltre alla sottoscritta, alcuni amici diversi per età, personalità, formazione e carattere, ma tutti malati di lettura, come me e, come me, desiderosi di un confronto onesto, sereno, sincero e finalmente libero dalle pastoie delle convenzioni, delle mode, delle piaggierie di turno. Con cadenza quindicinale, ci riunivamo a casa mia, fra casse di libri e vassoi di biscotti, a tirar l'alba fra trame, racconti, critiche ed emozioni.
Andammo avanti così per un annetto, nel corso del quale imparai sostanzialmente due cose: primo, che c'è un rapporto diretto ed inscindibile fra la riuscita di una serata- anche la più pretenziosa- e la qualità del cibo e del vino che circola fra i presenti; secondo, che le mie simpatie in fatto di libri si dirigevano compatte verso quelli dichiaratamente onesti. Quelli, cioè, che non ingannano il lettore, imbastendo in uno stile piatto e monocorde una sfilza infinita di banalità, dopo avergli promesso di svelargli i segreti dei massimi sistemi; quelli che non ricorrono a titoli astrusi, a copertine d'impatto, a premi letterari per fargli credere a tutti i costi che la sua formazione culturale non può dirsi completa se non passa attraverso di loro; ma quelli , cioè, che una volta scelto uno scopo, alto o basso che sia, si uniformano ad esso, in modo corretto, lineare, coerente. Onesto, appunto.
Da allora, ho sdoganato i cosiddetti "libri da intrattenimento", quelli che, per definizione, non rientrano nella letteratura alta e che, per anni, avevo letto di nascosto, magari nascondendoli dentro tomi dai titoli che ai critici letterari avevano scatenato emozioni su emozioni e che su di me facevano lo stesso effetto di una flebo di bromuro, tanto per rendere l'idea.
Perche, vedete, io non credo che un libro debba sempre e per forza far pensare. Anzi, dirò di più: quando ne ho letti due di fila, che mi fanno quell'effetto, sono così piena di pensamenti che ho l'urgenza di stempararli e scaricarli in qualcosa di dichiaratamente leggero ed evasivo.
L'unico limite che pongo, però, è che i patti siano chiari e che passino, per l'ennesima volta, attraverso il rispetto del lettore: il che, per un libro di intrattenimento, significa una bella trama e una scrittura che sappia sostenerla, senza troppi guizzi nè verso l'alto (che altrimenti sarebbe vano autocompiacimento), nè verso il basso ( che altrimenti sarebbe spazzatura).
La tredicesima storia è tutto questo- ed anche qualcosina di più. E' un racconto che ha al centro i libri e le storie e si sviluppa a cominciare dall'incontro delle due protagoniste, una anonima ed infelice libraia antiquaria e una celebre e patinata scrittrice di romanzi, che per un motivo che si intuisce sin dalle prime pagine, ha deciso di svelare il segreto della sua vita a questa giovane donna. Lo fa nell'unico modo che conosce, raccontando una delle innumerevoli storie che l'hanno resa famosa e le hanno permesso di sopportare il peso che si porta dentro dalla nascita, ma narrandola a modo suo- e cioè con un procedere sussultorio, che ora svela, ora nasconde, ora rivela. In breve, la giovane antiquaria decide di svolgere un'indagine personale, arricchendo la trama di personaggi e ambientazioni diverse, in un procedere parallelo che calibra perfettamente il ritmo lento della narrazione della anziana scrittrice con quello incalzante e frantoumato dell'azione della libraia. Il risultato è un romanzo avvincente che si legge d'un fiato e che, alla fine, lascia competamente soddisfatti, nel senso che non c'è nulla, ma proprio nulla, che non torni al suo posto e che non appaghi le aspettative del lettore, lieto fine compreso.
L'unica nota stonata viene dopo- quando, a libro chiuso, fate un giro virtuale per recuperare altri pareri tanto per rendervi conto di come butta il sentire comune, e vi accorgete che è tutto uno scomodare il romanzo gotico vittoriano- e Jane Eyre in particolare- attribuendo a quest'opera valenze che non ha e che, probabilmente, mai si era sognato di avere. il presupposto dell'onestà. così ben dimostrato nel romanzo, viene quindi preso a picconate dai suoi critici che trasormano, o meglio, manipolano la natura di quest'opera, facendo baluginare al lettore orizzonti in sè irraggiungibili, quasi che basti un'ambientazione nella brughiera e una citazione da Jane Eyre per far gridare al miracolo della quarta sorella Bronte.
Date retta a me: di sorelle, in questo libro, ce ne sono a sufficienza, e bastano a creare un romanzo d'atmosfera, che avanza sicuro lungo il disvelamento di una trama ben controllata da una narrazione ferma e salda, con personaggi mai sopra le righe e un ritmo narrativo capace di tenervi incollati alla pagina fino alla fine, sfidando sonno e lavori arretrati e bucati da stirare. Il tutto senza mai, dico mai, avanzare pretese di alta letteratura, ma sempre manentendosi nel solco di una rispettosa e puntuale soddisfazione delle aspettative preannunciate al lettore sin dal titolo, che presenta questo romanzo semplicemente come una storia, e niente di più: che distrae, avvince, appassiona e rincuora, esattamente come qualunque storia dovrebbe fare. E scusate se è poco...


Diane Setterfield
La Tredicesima Storia
I miti mondadori
6,00 euro

sabato 13 giugno 2009

polpette di spada con gazpacho di fragole

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Ho creato un mostro.
E, oltretutto, è colpa mia.
O meglio: la colpa è di quella orribile zuppa di carote che da due giorni a questa parte è diventata il bersaglio di tutti i miei strali. La zuppa, i suoi ingredienti e la mia dannata incapacità di tenermi gli affari miei fra le quattro mura di questa casa. Perché, se così fosse stato, probabilmente avrei a fianco il solito marito di prima- e non una specie di versione panciuta del Sommo Poeta, tutto tronfio ed esaltato, che ogni volta che accendo il pc ti piomba alle spalle per sapere se su di lui non si è ancora detto niente e se proprio deve riconoscermi qualche merito è solo relativo all'intelligenza delle mie amiche, che loro sì che lo apprezzano, altro che.
E' talmente andato che quando ha assaggiato l'ultimo esperimento della settimana si è pure calato nei panni azzimati del critico gastronomico, promuovendo le polpette ( anzi no: bisognava prepararne di più) e assolvendo il gazpacho, con un "la prossima volta, un po' meno fragola" che lascia presagire una seconda possibilità - cosa di cui finora hanno goduto pochissimi piatti, tutti rigorosamente stracalorici e stratradizionali.
Sia chiaro: per il blog, tanto di guadagnato. Più stiamo in questa fase aulica, per così dire, più riesco a smaltire le pile di ricette contrassegnate con un "da fare subito!!!" che da anni si ammonticchiano sugli scaffali della libreria e a togliermi anch'io qualche soddisfazione, che non sia il minestrone della zia anita o la carbonara preparata in fretta e furia alle undici di ieri sera perché "aveva un certo languorino...". Tanto, lo so che dura poco: gli dò tempo un giorno o due e poi torneremo agli sguardi levati al cielo, ai "quand'è che si torna a mangiare sul serio", alla nonna e alla mamma che lo fanno meglio. E anche questo povero gazpacho, mi sa, avrà vita breve: non so di preciso quale sarà la sua sorte, la prossima volta che lo preparerò, ma un ribattezzamento immediato non glielo toglierà nessuno, magari-azzardo- con una pronta sostituzione dell'iniziale, dalla G alla C....

Polpette di Spada con Gazpacho di Pomodoro e Fragole ( da ATavola, giugno 09)


per 4 persone
300 g di polpa di pesce spada;
40 g di mollica di pane integrale
40 g di pistacchi di Bronte spellati
40 g di mandorle spellate
100 ml di latte fresco intero
1 uovo
olio EVO
sale- pepe nero di mulinello
Per il Gazpacho
4 pomodori ramati
10 fragole mature
50 g di mollica di pane integrale
45 ml di aceto di mele
30 ml di olio EVO
1/2 spicchio d'aglio
peperoncino in polvere (io ho usato del Tabasco)
sale- pepe nero di mulinello

per il gazpacho: spezzettare in una ciotola la mollica di pane, unite i pomodori e le fragole lavati e tagliati a pezzi; aggiungete sale, pepe, una piccola presa di peperoncino in polvere, l'aglio finemente tritato, l'aceto di mele e l'olio. Coprite a filo con l'acqua, mescolate il tutto e mettete in frigorifero per almeno 12 ore. Trascorso questo tempo, frullate e passate al setaccio: tenete il gazpacho in frigorifero fino al momento di servirlo.
Per le polpette, tritate finemente al coltello ( passaggio noioso ma fondamentale) lo spada; aggiungete la mollica di pane bagnata nel latte e poi strizzata, l'uovo sbattuto, sale e pepe. Formate delle polpette tonde, grandi come una noce, e impanatele nei pistacchi e nelle mandorle finemente tritate insieme, in modo da rivestirle uniformemente.
Scaldate abbodante olio in una larga padella e friggetevi le polpette per 2-3 minuti, finché saranno leggermente dorate su tutti i lati. Sgocciolatele man mano su carta assorbente. Infilzatele su 4 stecchini di legno. Versate il gazpacho in 4 bicchieri senza piede o ciotoline individuali, appoggiatevi sopra uno stecchino con la polpetta e servite.

Oppure fate come noi, che siamo allergici agi stecchini e abbiamo aguzzato l'ingegno...
buon fine settimana
alessandra

giovedì 11 giugno 2009

zuppa di carote e agrumi


zuppa carote e agrumi


Nella lista delle spese compulsive di cui parlavo l'altro giorno, ai primi posti ci sono le riviste e i libri di cucina. Non passa giorno che non mi lasci prendere dall'impulso di comprarne uno- e questo nonostante training più o meno autogeni ("un altro???? ti rendi conto che non sei normale??? mi dici dove lo mettiamo???") e la sincera convinzione che in rete ci sia di tutto, di meglio e di più . Tant'è, però, ci casco sempre: sarà il fascino del cartaceo, saranno le persuasioni più o meno occulte delle copertine, sarà una sottile frustrazione da collezionista fallita (MAI, dico Mai che sia riuscita a finire qualcosa), fatto sta che non c'è giorno che non torni a casa con qualcosa. L'ultima passione sono i libri di Akiko Ida, idolatrata food fotografa giapponese, che illustra una serie di pubblicazioni radical chic, che declinano il minimalismo in tutte le salse, dalle ricette semplici alle foto essenziali, passando per stoviglie povere e strofinacci ruvidi. Il prezzo ovviamente, è da paura e gli ingredienti sono reperibili per modo di dire, nel senso che non c'è dubbio che dall'altra parte del mondo- quella a cui non è destinato questo libro- la zucca hokkaido, i fagioli rossi e i pescivendoli disposti a tagliarti il salmone a due terzi della bestia, dando il resto al gatto, si trovino facilmente mentre da noi bisogna accendere un mutuo, ma questi son dettagli a cui una vera fudbloggher non bada, anzi: avevo giusto un pezzetto di zucca hokkaido nel frigo, di cui proprio non sapevo cosa fare...
Naturalmente, mio marito questi libri non li sopporta. Lui che è cresciuto a tradizione orale, con ricette tramandate di generazione in generazione e ad ogni mio timido deragliamento fa corrispondere un " mia nonna non lo ha mai fatto" che vale più di mille sentenze di condanna, appena mi sente discettare di cucina fusion, di zuppe nel bicchiere e pastasciutte nelle coppette inizia a cercare una via di fuga, trovando subito nella complicità della figlia l'alleato migliore. E a me non resta che comprare, sfogliare, sospirare e accantonare, sognando un giorno in cui le cose cambieranno e io entrerò finalmente nell'olimpo delle cuoche trendy, quelle con le cucine spaziali, gli ingredienti introvabili e la taglia 38.

Ogni tanto, però, ci provo, specie quando mi imbatto in qualcosa che, una volta depurato da diminutivi, articoli e certificazioni di qualità, penso possa avvicinarsi di molto a quello che normalmente proprino ai miei familiari e che, normalmente, non li uccide. E' il caso di questa zuppa fredda, di carote e agrumi, tratta da una delle tante bibbie culinarie di questi anni, quel Zuppe à porter che non può mancare in qualsiasi biblioteca gastronomica che si rispetti.

Nella mia idea, non avrei dovuto correre rischi; le carote ai tempi della bisnonna di mio marito c'erano già, l'abbinamento con le arance aveva ricevuto la benedizione della sua prozia, lo zenzero è una concessione a cui si è piegato negli ultimi tempi, insomma: se smussavo un po' gli angoli (via il pompelmo e il lime) avrei potuto avere qualche speranza.

Quando l'ho servita in tavola, titubavo un po': il 50 per cento dei consensi lo avevo già perso con la creatura, il cui sguardo raggelato, mentre ne ultimavo la preparazione, aveva fatto morire sul nascere qualsiasi tentativo di persuasione. il marito, però, l'ha mangiata, pure in silenzio, tanto che, dopo le prime cucchiaiate, mi sono confortata, acquistando via via sicurezza e ottimismo e fiducia nel futuro, una specie di Yes we can bloggettaro, tanto che, dopo aver discettato di supremazie culinarie e tendenze modaiole, ho deciso, a voce alta, che anche questo esperimento sarebbe dovuto finire nel blog, ma nella mia versione, che, neanche a dirlo, si era rivelata di gran lunga superiore all'originale. L'unico problema era che bisognava ribattezzarla: " perché, capisci, se la chiamo zuppa di carote e agrumi non è corretto, perché qui di agrumi c'è solo l'arancia e poi non si percepisce l'importanza dello zenzero, che è inutile, guarda, puoi fare tutti gli esperimenti che vuoi, ma alla fine, Carote, Arancia e Zenzero sono sempre un trinomio vincente...solo che 'zuppa alle carote arancia e zenzero- è troppo lungo, capisci, mi ci vorrebbe qualcosa di più immediato, di più incisivo, di più di impatto..."
Io l'ho sempre saputo che mio marito è un tipo pieno di risorse. Il più delle volte è un atto di fede, nel senso che se le tiene belle nascoste, dietro un'apparenza che oscilla fra il flemmatico e l'annoiato, che non sai se pensare se di quello che hai appena detto ha capito qualcosa o non gliene importa un bel niente ( 90 su cento, la seconda che ho detto) Ma ci sono dei momenti in cui se ne esce con la Madre di Tutte le Frasi, puntuale, esaustiva, pregnante, di quelle che ti lasciano basita, a bocca aperta, la mente fissa a chiederti dov'è che ho potuto trovare un tipo simile e com'è che me lo sono anche sposato....
Zuppa del C- A -Z, ha suggerito di chiamarla: C.arote A.rancia Z.enzero. Più chiaro di così...

Zuppa di Carote e Agrumi ( da Zuppe à Porter di A. C. Bley, Guido Tommasi Editore) zuppa carota agrumi


10 minuti di preparazione- 35/40 minuti di cottura
1 kg di carote
2 cipolle
2 cucchiaini di zenzero fresco grattugiato
1 litro di acqua
20 cl di succo d'arancia
20 cl di succo di pompelmo
1 limone verde (scorza e succo)
1 cucchiaino di olio d'oliva
sale

Pelare le carote e tagliarle a rondelle. Pelate e affettate finemente le cipolle. In una cocotte, soffriggete le cipolle nell'olio. Aggiungete lo zenzero grattugiato e rosolatelo per 5-10 minuti mescolando di tanto in tanto. Aggiungete le carote, l'acqua e i succhi di frutta ( tenete da parte la scorza di limone verde). Salate. Portate a bollore, abbassate il fuoco e lasciate cuocere finché le carote sono tenere ( 30 minuti). Frullate il tutto, aggiungenod un po' d'acqua se necessario. Aggiustate di sale e unite la scorza del limone verde
Questa zuppa può essere servita fredda o calda. Sarà ancora più buona se spremete l'arancia e il pomplemo, invece di usare il succo già pronto


Va da sè che di zuppe con i succhi di frutta, qui, non se ne facciano: io ho sostituito il pompelmo con altrettanta arancia e già che c'ero ho grattugiato anche la scorza, direttamente sulle carote, in cottura. Al posto dell'acqua, ho usato un brodo vegetale leggero. A parte i commenti di mio marito, è un'ottima zuppa estiva.

Buon appetito
Alessandra

martedì 9 giugno 2009

ligurian lemon cake- pierre hermè


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Siccome è da una settimana circa che stiro, senza che questa mia fatica abbia prodotto un benché minimo abbassamento di quella specie di K2 che ho fisso in tinello, il mio umore sta pericolosamente virando verso il basso. Non che sia una novità, tutt'altro: mi capita ogni volta che devo sbrigare qualche faccenda domestica, con particolare propensione per quelle più rutinarie ed avvilenti, per cui hai appena finito e già devi ricominciare, ed inevitabilmente ti chiedi per quale motivo ci siano state date 24 ore di tempo al giorno, se almeno un quarto deve andarsene via così. Per dire, a me andrebbe benissimo una giornata di 18 ore, se mi manlevassero dal fare il bucato, stenderlo, mettere in ordine la camera della figlia, riempire la lavastoviglie, pulire i pavimenti ed altre amenità del genere. Eccezion fatta per la spesa: quello, infatti, mi piace da matti.
Ad essere onesti, se la psicologia fosse una scienza esatta, io dovrei odiare questa incombenza più di tutte le altre: da piccola, era una specie di maledizione. Mi ci mandava sempre mia nonna, che doveva avere una specie di stramaledetto sesto senso (sta a vedere che era un sensore...) per cui sul più bello di ogni gioco mi chiamava per andare a comprare. Mai che mi abbia cercato quando mi annoiavo, nei pomeriggi in cui mi toccava giocare a mamme, o quando ciondolavo davanti ai libri di scuola facendo finta di studiare. Nossignori: o stavo per tagliare il traguardo al gioco del fazzoletto, o ero lì lì per far liberi tutti o era la volta che forse mi riusciva l'impennata con la bici, che quella, implacabile come la morte, piombava sul campo da gioco brandendo a mo' di vessillo la lista della roba da comprare fra i mugugni collettivi e gli sguardi di aperta antipatia dei miei amici.
Le cose sono mutate col passare degli anni, tanto che fare la spesa è diventato, da un dovere, un piacere sempre più incontrollabile: laddove le mie amiche fanno salti mortali per concentrare la spesa al sabato, io la dilaziono in tutti i giorni della settimana; appena ho un minuto di tempo mi fiondo fra i banchi del mercato orientale e non c'è marca di genere commestibile che non abbia conosciuto le mensole della mia dispensa . Naturalmente, più mi allontano da casa, più mi scateno e con la scusa che "questo a Genova non si trova" riesco a caricarmi di qualsiasi cosa, dal prodotto DOP alla schifezza DOC: e vi lascio solo immaginare i vertici della mia felicità quando ho imparato a fare la spesa in internet, facendo scorte di vaniglia dal Madagascar, di spezie per lebkuchen dalla Baviera e di sale dalle Hawaii, che intanto quello non scade, prendiamone un po' di più che c'è l'offerta.
L'unico negozio che ancora non sono riuscita a scovare e che non so cosa darei per riuscirci è il supermercato dei foodografi. Che sarebbero i fotografi di cibo, attualmente i principali responsabili dei miei deliqui di fronte al pc o alle pagine delle riviste specializzate. Osservo le loro foto con tale e tanta attenzione che mi sono convinta che, oltre ad avere talenti e apparecchiature speciali, debbano anche servirsi di cibo altrettanto speciale. Di cioccolato fuso che, anziché spantegarsi sul tavolo in gocce dal colore poco invitante, ricopre le torte disponendosi in morbide e voluttuose curve, senza sbavatura alcuna; di verdure che, anziché perdere brillantezza e contorni dopo due ore e passa di cottura, spiccano nitide e lucenti, come appena colte; di pesci dall'occhio vispo e cigliato, di carni dal colore roseo e uniforme, di frutta che non annerisce e di gelati che non si sciolgono- e anche di granite al basilico che restano verdi, mentre la nostra è diventata giallina....
Ecco, se mai trovassi 'sto benedetto negozio, io ordinerei una vagonata di lamponi che in cottura non finiscono sul fondo. Così, almeno, riuscirei a fare la Ligurian lemon cake di Pierre Hermè uguale uguale a quella che ho visto su un sacco di riviste, con i lamponi belli al centro e non spiaccicati sul fondo come vengono a me. E dire che le ho provate tutte- dal cambio dello stampo alla quantità della frutta, dall'infarinatura previa alle preghiere davanti al forno: niente. Quelli che compro io, devono avere una vocazione da kamikaze, perché si sfracellano al suolo.
Lo hanno fatto anche stavolta, nonostante la grande pensata della forma a muffins: che, oltre a non aver dato soddisfazione alcuna sotto questo aspetto, ha anche prodotto una serie di dolcetti disuguali, con cupolette più o meno sbilenche e dorature più o meno unformi.
Che però non hanno minimamente influito sul sapore: perché questo è Pierre Hermè, signori, e qui si gioca sul serio: con ingredienti, profumi, sapori e tecniche d'eccezione. Il risultato è un capolavoro di leggerezza, di raffinatezza e di gusto che basta un morso a riconciliarti con il mondo intero. Lamponi sul fondo compresi

LIGURIAN LEMON CAKE - pierre hermè

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(versione senza burro)

la scorza di due limoni non trattati
190 g zucchero semolato
45 ml di latte freddo
4 uova intere
2 cucchiai di succo di limone filtrato
130 ml di olio extravergine  ligure ( leggero)
(100 g di burro fuso e fatto raffreddare- io non l'ho messo)
175 g di farina
mezzo cucchiaino di lievito
150 g di lamponi

Frullare lo zucchero con la scorza di limone, fino ad ottenere una specie di zucchero a velo giallo. Aggiungere le uova e montare con le fruste elettriche, aumentando via via la velocità, fino ad ottenere un composto spumoso. Abbassare la velocità ed aggiungere il latte, il succo di limone e l'olio. In ultimo, la farina setacciata con il lievito.
Imburrare uno stampo rotondo o uno da plum cake, versarvi 3/4 di composto, cospargere di lamponi e coprire con il resto.
Infornare a 180 gradi per 40 minuti circa.
Se usate la forma da plum cake, i tempi nel mio forno, modalità non ventilata, arrivano anche a 50 minuti, con gli ultimi dieci a superficie delle torta coperta con un foglio di alluminio
Nello stampo da torta, quindi più basso, 35. 40 minuti dovrebbero essere più che sufficienti
In versione mini muffins, un quarto d'ora in modalità ventilata, ventidue minuti in modalità statica.
La ricetta originale prevede anche 100 g di burro fuso e poi raffreddato che io ho omesso, con risultati comunque eccellenti.
Buon appetito
alessandra


sabato 6 giugno 2009

orecchiette ai moscardini e melanzane

orecchiette moscardini melanzane

Tanto per collegarmi all'ultimo post e a quello che dicevo sul mio essere veloce, io ho saltato la prima elementare. Ho frequentato solo le ultime settimane, quel tanto che bastava alla maestra per verificare se potevo fare questo salto, e quel tanto che bastava a me per capire che l'unico modo per sopravvivere, lì dentro, sarebbe stato quello di sovvertire qualche ordine. Naturalmente, ho cominciato dalla regola più atavica, più manifesta e più perbenistica di quel mondo, che voleva i bambini e le bambine rigorosamente divisi- di file, di banchi, di grembiule e di fiocco- e al terzo giorno di scuola ho sfrattato il compagno più mite dal suo posto e mi ci son messa io.
Ci sono rimasta fino alla fine della quinta, con a fianco una compagna squinternata e impavida, convincendomi di giorno in giorno che, pur non trovandomi particolarmente bene con i"maschi", avrei accettato qualunque cosa- dagli aeroplanini di carta ai "celo celo mamanca" delle figurine- pur di non avere nulla a che spartire con le "femmine". Crescendo, il confine si è fatto più netto, assumendo le dimensioni di una vera e propria trincea nell'adolescenza, quando i "maschi" erano stati promossi al ruolo di "ragazzi" e le "femmine" declassate a tutto quanto fa vecchia fattoria, con particolare propensione per oche, galline e gatte morte.
Ho scoperto le "donne" dopo i trent'anni - ed è stato un colpo di fulmine rintronante, coinvolgente, emozionante, intriso di incredulità e di meraviglia, di affinità profonde e di sintonie immediate, di ammirazione e rispetto e orgoglio di appartenenza ad un genere che, per tutto quel tempo, avevo sempre tenuto ad altezzosa distanza.
Da allora, ho un elenco lunghissimo di amicizie femminili, che danno sostanza alla mia vita, con cui chiacchiero, rifletto, mi confido, do e ricevo sostegno, affetto ,comprensione, e, con cui, soprattutto, rido. Se mai mi avessero detto che mi sarei divertita così tanto con le donne, io che se non c'erano ragazzi in giro tanto valeva starsene a casa, non ci avrei creduto: e invece, lo constato di continuo, quando mi attacco al telefono, quando prendo l'aperitivo, quando ritaglio il tempo per un caffè lungo e, ultimamente, quando sono in ufficio. Perché in ufficio c'è la Paola- che per il resto del mondo è la mia segretaria, mentre per me è la prova tangibile che, le rare volte in cui la vita decide di sorridermi, lo fa in tutto lo splendore dei suoi trentadue denti: è la conferma, se mai ce ne fosse bisogno,che il segreto di un ufficio che funziona e di un armadio senza arretrati passa anche attraverso un collaboratore intelligente e capace, per di più sintonizzato sulle tue stesse bande- dal peso della coerenza alla leggerezza del buon senso.
Siccome ci si vede tutti i giorni, è il quotidiano a tenere banco, in un variabile pout pourri dove trova posto tutto, dalla salute dei figli alla prova costume, passando per i colloqui con le insegnanti, i libri da leggere, i viaggi da fare. E, da un mese a questa parte, il blog.
Non c'è pausa caffè che non ci veda inchiodate al monitor del pc, a commentare le foto, a studiare la grafica, a correggere gli errori di battitura e a rispondere ai commenti, in barba a occhi che lacrimano e a dita che avrebbero bisogno di riposarsi un po'. E a cercare ricette nuove, ovviamente, come quella che vedete qui stasera: che è la rielaborazione in chiave casareccia di un primo da lei assaggiato in una trattoria della riviera, spiegatomi il giorno dopo più o meno così:
" Ho mangiato degli gnocchetti con moscardini e melanzane che erano la fine del mondo. Nel blog ci starebbero benissimo"
"ok, dai, li provo e semmai li posto: moscardini e melanzane, hai detto?"
"no, aspetta, che bisogna esser precisi, che se la pubblichi... dunque, moscardini, melanzane e pomodori, quello c'erano di sicuro, perché poi mi è venuto l'eritema dietro le orecchie... e anche del basilico, che mi prudevano le dita... e dell'aglio, sicuro, perché mi è venuta una sete che ho bevuto tutto il giorno...."
E di fronte alla mia espressione incredula, ha spiegato compita, che lei è dotata di sensori, per cui a seconda della reazione di ciascuna parte del corpo, riesce ad individuare gli ingredienti di un piatto. A prescindere dalla reazione del mio unico sensore- che è quello della ridarola, che si è prontamente attivato, con tanto di contorsioni muscolari e lacrimazione, quando si è arrivati al sensore del peperoncino- riconosco pubblicamente che la teoria ha un fondamento, perché quello che ne è uscito è un piatto fantastico, che ha pure attivato il reattore dell'approvazione del marito- il che, come sapete, per noi è un mezzo miracolo...

ORECCHIETTE AI MOSCARDINI E ALLA MELANZANA

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per 4 persone
240 g di orecchiette secche ( la ricetta originale prevede gli gnocchetti di patate, ma non avevo nè tempo nè voglia di prepararli)
2 melanzane lunghe
2 moscardini di media grandezza ( circa mezzo chilo)
4 pomodori san marzano maturi
vino bianco secco
brodo di pesce
olio extravergine d'oliva
aglio, 2 spicchi
1 peperoncino
qualche foglia di basilico
sale

Pulire bene i moscardini, tagliarli a tocchetti piccoli e metterli a cuocere in una padella, con 4 cucchiai di olio  e due spicchi d'aglio, prima facendoli insaporire a fiamma vivace e a recipiente scoperto, mescolando spesso, poi bagnandoli con una spruzzata di vino bianco e, una volta evaporato, portando a cottura a recipiente coperto e a fuoco basso, aiutandosi con del brodo di pesce. Aggiustare di sale. Quando sono teneri, son pronti. Tagliare le melanzane a tocchetti e, quando i moscardini cominciano ad ammorbidirsi, versarle nella padella e, a fiamma media, mescolarle con i moscardini, facendo legare bene il sugo. Dopo qualche minuto, aggiungere i pomodori tagliati a tocchetti e privati dei semi (potete anche sbollentarli qualche minuto per togliere la pelle, se preferite), salare, aggiungere il peperoncino spezzettato, far cuocere ancora pochi minuti e spegnere la fiamma. Lasciari riposare il sugo a recipiente coperto per una decina di minuti. Nel frattempo cuocere le orecchiette, scolarle quando sono cotte e farle saltare nella padella con il sugo, fino a quando si saranno ben legate. Cospargere con foglie di basilico stracciate con le mani e servire subito.
Il punto di forza è la cottura delle verdure, che devono essere appena appena cotte: il motivo per cui non ho fatto la sbollentatura previa dei pomodori è proprio perché in questo modo avrebbero perso la croccantezza. Invece, così, si avverte bene il contrasto fra il tenero dei moscardini e il croccante delle verdure. E' un piatto di mare, estivo, fresco, colorato, facile e veloce da preparare: cosa volete di più????
Buon appetito
alessandra






venerdì 5 giugno 2009

le 7 domande (Sabri' te possino!!!!) e i Lime Meltaways



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Giusto per mandare a ramengo il Premio Simpatia, la Maddalena di Proust mi ha caldamente invitato a descrivermi, in sette punti che dovrebbero esprimere al meglio il mio carattere. Considerato lo spessore dell'argomento, ho prodotto anche una versione Bignami, in sette righe (tre e mezzo, se non andate a capo), a fondo pagina. Per chi invece proprio non può fare a meno di conoscermi meglio, che si metta comodo e allacci le cinture...

1. sono veloce. Quello che per gli altri è un "tempo ragionevole" per me è un tempo biblico, un'era geologica, una roba da far venire il latte alle ginocchia. Non la ritengo una gran fortuna, sia chiaro, perché è una condanna alla solitudine e all'incomprensione reciproca, e neppure so da cosa dipenda e perché proprio a me, sed fieri sentio et excrucior, savasandir....

2. ho la noia facile. Il punto 1 è in parte responsabile di questa tendenza ad annoiarmi di tutto e di tutti, che l'età ha solo smussato nella forma, ma non nella sostanza: oggi sbuffo metaforicamente, ma sbuffo comunque. Ho bisogno di stimoli continui, di curiosità da soddisfare, di nuove cose da fare. Parto con grandi entusiasmi - e grandi investimenti ,di ogni tipo- che vedo scemare via via, sommersi dalla calma piatta di un tran tran che se per altri è gratificante, per me è letale.

3. se non sono ironica, pungente, sarcastica, sono la tipa da "cinque minuti": quando mi prendono, vomito addosso al malcapitato di turno qualsiasi cosa mi passi per la testa- e più colorite e iperboliche sono, meglio è. Chi mi conosce bene, si arma di orologio e aspetta che passino; chi mi conosce meglio, usa anche il taccuino, dove segnarsi le più belle ( ultimamente, sono nella fase escatologica, prometto pene infernali a tutti); chi non mi conosce, mi evita. Se non ho i "cinque minuti", sono ironica, pungente e sarcastica. In ordine crescente, a seconda dell'umore, dal calmo al furioso. In quest'ultimo caso, mi evitano tutti.

4. sono disordinata. ho una sorella che è l'incarnazione dell'idea platonica di "mastrolindo" , il che mi fa supporre che si sia inceppato qualcosa nella catena della distribuzione delle doti, quando è toccato il nostro turno. Io, proprio, nun ce a fo': son come quel personaggio dei Peanuts con la polvere tutto intorno, con la differenza che intorno a me c'è il caos più assoluto. Naturalmente, se me lo fate notare, mi inalbero subito e attacco con una serie di recriminazioni cosmiche, con picchi di veterofemminismo (e perché io sto a far niente tutto il giorno vero? qui lavori solo tu, vero?) al romanzo d'appendice (perché ho la schiena a pezzi e nessuno mi aiuta), passando per speculazioni filosofiche (che poi, bisogna intendersi sul CHE COS'E' l'ordine e CHE COS'E' il disordine) e fisiche ( tutto è relativo), ma la sostanza,ahimè, non cambia: sono disordinata, e pure tanto.

5. rivendico, sempre e comunque, il diritto al mio punto di vista. Questo lo so da cosa dipende e ne sono fiera: l'antenato più illustre della mia famiglia è l'inventore della prospettiva e da lì in poi è stata tutta una storia esemplare, di persone illuminate, coraggiose e rompiscatole, che hanno sempre detto quello che pensavano, alla faccia del lathe biosas e di orticelli privati e lecchinaggi pubblici. Io son più rompiscatole che illuminata, perché il DNA si è un po' sbiadito nei secoli, ma resto comunque convinta dell'inalienabilità di questo diritto, che cerco di esercitare quando posso e più che posso. E se va male, mi apro un blog

6. sono diretta. Avendo ormai oltrepassato da un po' il "mezzo del cammin di nostra vita" (a cui, per non sapere nè parlare nè tacere, ho aggiunto un prolungamento sulla fiducia, vista la lista di cose da fare), non ho più tempo da perdere in salamelecchi, manfrine, frasi fatti, meandri della diplomazia e arrampicature sugli specchi. Prima si va al sodo, e poi si discute. E mai viceversa.

7. Al settimo c'è la connotazione più forte, l'imprinting indelebile, il marchio di fabbrica a cui dò tempo tre minuti per venire fuori sempre, in qualsiasi situazione- e cioè il senso della giustiza, declinato nelle forme del "dura lex sed lex" per quanto riguarda me e della difesa ad oltranza, fino a scadere nel più grottesco dei donchisciottismi, per quanto riguarda gli altri. Est modus in rebus, dicevano gli antichi, e difatti ci sto lavorando da un po', per riequilibrare i piatti della bilancia, introducendo magari il "peso" dell'utile. Ma chi mi conosce sa che questo è il mio fardello, che negli anni si è riempito di cause perse e di cause vere, di delusioni cocenti, di battaglie estenuanti, di delusioni e sacrifici e soddisfazioni che, alla fine,mi hanno portata alla "scelta della vita", infinitamente più rischiosa e più esposta della tranquillità del lavoro di prima, che però ha chiuso il cerchio, sigillandolo con una coerenza che, se appesantisce le mie giornate, alleggerisce le mie notti, consegnandomi ogni volta a sonni tranquilli. Il che, a pensarci bene, non è poco...


E ora vai di ricetta con 'sta bomba della Martha Stewart, very easy, very delicious, very trendy, very "for summer" e chi più ne ha più ne metta...

Lime Meltaways (martha stewarth)
 
 
013



170 g di burro morbido
210 di zucchero a velo
2 lime ( solo la scorza grattugiata)
2 cucchiaini di succo di lime
1 cucchiaino di essenza di vaniglia: io ci ho messo un misurino di rum bianco- e secondo me fa la differenza
200 g di farina 00
60 g di fecola
sale

Montare il burro morbido con 1/3 dello zucchero ; aggiungere le scorze dei lime, il succo e il rum o la vaniglia. Setacciare le farine con il sale, aggiungerle al composto di burro, amalgamare bene.
Sulla spianatoia, spolverizzata di farina, lavorare velocemente la pasta con le mani e formare dei salsicciotti, del diametro di 4 cm al max: avvolgerli nella stagnola e metterli a riposare in frigo epr un'oretta.
Accendere il forno modalità statica a 160 gradi
con un coltello affilato, tagliare dai salsicciotti tante rondelle, dello spessore di mezzo cm e disporli su una teglia da biscotti rivestita di carta da forno. Infornare per 12 minuti: devono essere ancora chiari e friabili, quando li sfornate. Lasciateli raffreddare bene, poi metteteli in un sacchetto per alimenti con il resto dello zucchero a velo, scuotete bene facendo attenzione a non romperli, però, e servite.
si conservano fino a due settimane in una scatola di latta.
Buona giornata
alessandra
punto 8. tiro pacchi ( questo per quelli che si aspettavano il bignami a fondo pagina..)

giovedì 4 giugno 2009

la danza del gabbiano

Se mai mio padre dovesse entrare a forza in una galleria di personaggi letterari, sarebbe una specie di moderno padron 'Ntoni. Un po' perché passa metà del suo tempo libero a pescare, su un gozzo bellissimo che pur senza chiamarsi Provvidenza, è stato spesso silenziosamente benedetto da parenti ed amici per aver riempito le loro pance di quanto di più simile ai sapori del paradiso ci possa essere; un po' perché guarda le cose con il distacco di chi, proprio, non le capisce, e un po' perchè parla per proverbi.

O meglio: ogni tot di anni, mio padre crea un proverbio, un motto, un modo di dire, che gli piace particolarmente e che usa come corollario ad ogni evento che meriti la sua attenzione. Ed è così metodico in questo che i capitoli della storia della mia famiglia potrebbero benissimo intitolarsi con le chiose paterne, un po' come gli Annali romani, con la piccola differenza che, al posto dei consoli, qui avremmo frasi auliche come "dare soldi, vedere cammello", " cessa-lavori" e "son sempre arrivato secondo".

Quest'ultima frase è quella che mi riecheggia nella mente ogni volta che mi soffermo a fare qualche personalissimo bilancio esistenziale, che si conclude puntuale con l'amara constatazione che io, per contro, son sempre arrivata prima. Laddove il prima non è l'aggettivo, ma l'avverbio: vale a dire, cioè, che son sempre stata in netto anticipo su tutto. Il che, ad essere onesti, non è una fortuna, per niente: ho ferite che bruciano ancora, per aver messo in pratica quando i tempi non erano ancora maturi, idee personali che in seguito son diventate mode, tendenze e carri del vincitore, ma che all'epoca mi hanno fruttato reprimenda pubbliche, sopracciglia alzate, sguardi di commiserazione. Nell'elenco ci sta di tutto, dalla tesina di maturità ( bocciata alla stragrande, ai miei tempi si doveva fare la ricerca), al blog di cucina (scrivo le stesse cose, ma in privato, dal 2002), passando per titoli di tesi bocciati ( e poi rubati in tempi più maturi: farsene fottere due su tre, è quasi roba da professionisti), idee professionali riciclate e tutta una serie di varie amenità, fra cui trova posto anche Andrea Camilleri.

Correva l'anno 1995 e io insegnavo in un liceo scientifico cittadino, quando proposi al Collegio Docenti di affiancare ai Promessi Sposi la lettura di un testo a scelta fra Il Birraio di Preston e La Mossa del Cavallo. A distanza di tempo riconosco di avere avuto anch'io la mia parte di responsabilità, per tutto quello che successe dopo: l'anno prima, quando avevo chiesto se si potevano accompagnare i ragazzi al Teatro dell'Opera, iniziando una collaborazione col Carlo Felice, il Preside si era girato di scatto verso la vicaria e, dopo averle chiesto, con aria cospiratoria " Cu è Carlo Felice???" si era rivolto a me in malo modo, dicendomi :" Professore', nun cominciamo, che lo sapete benissimo che 'stranei, a scuola, nun se ne po' portare!!!" Quindi, un minimo di lungimiranza lo avrei dovuto avere. E proprio perché ne ero priva, non avevo previsto quello che successe dopo, con colleghi di lettere con la bava alla bocca, a darmi della sovversiva, armati del solito scudo del "son vent'anni che insegno allo stesso modo, non vedo perché dovrei cambiare", a proteggere vent'anni di questionari con le stesse domande, di lezioni con le stesse parole e di compiti per le vacanze che iniziavano sempre con la consueta "lettura degli ultimi - dieci, quindici, venti- capitoli dei Promessi Sposi"- che è meglio che se li facciano a casa, con calma....

Questa lunga premessa per dire che a me Camilleri piace tempore non suspecto, quando a lui non se lo filava nessuno e la Sellerio era una piccola editrice di nicchia, che pubblicava chicche per amatori e per cui bisognava specificare sempre che era "quella dei libretti blu", perché il nome, da solo, difficilmente arrivava a segno. E per dire anche che noi a Montalbano vogliamo bene, sul serio. Qui è una specie di amico di famiglia, un po' come la signora Fletcher, al punto che a volte ti stupisci del fatto che non esista nella realtà, da tanto fa parte della tua vita, del tuo modo di sentire e di vedere il mondo. Quindi, mi si perdonerà se dico che quest'ultima fatica letteraria, questo strombazzato ritorno del commissario, questa "danza del gabbiano" che avrebbe dovuto riportare ai fasti di un tempo il suo protagonista, è una mezza delusione. Lo è sin dalle prime pagine, con una Livia sempre più stanca, sbiadita e frusta e una prosa che stenta a decollare, impastichata in una prosa faticosa, lontana, lontanissima dalla freschezza di un tempo, con dialoghi spesso inefficaci, che raramente riescono a suscitare qualcosa di più che un semplice sorriso nel lettore. Ne consegue che il plot narrativo, che non è mai stato il pezzo forte delle inchieste del commissario, mostri la corda assai prima del solito, rivelando incongruenze e scioglimenti finali così repentini e opportuni da far storcere la bocca anche ai meno esigenti. E se è corretto riconoscere a Camilleri lo sforzo di tornare sulla retta via, abbandonata nelle sue ultime fatiche, forse schiacciato dagli obblighi di una popolarità troppo grande, è altrettanto vero che ciò avviene a tratti, a sprazzi, a flash, in un insieme che ha perso la meravigliosa fluidità di un tempo, increspatasi in punti di sutura manifesti e, in certi casi, addirittura grossolani.
Ciononostante, non si riesce ad essere più di tanto severi con il duo Camilleri- Montalbano: e questo perché, ancor prima che con la mente, li si legge col cuore, senza porre nessun filtro fra noi e la storia- non la ragione, non le competenze, non l'attenzione all'indizio. Qui ci si consegna subito all'emozione, in un turbinio di sussulti, simili ai passi della macabra danza del gabbiano, che oltrepassa il semplice spunto del titolo del libro per diventare l'emblema della cifra che ne contraddistingue la lettura, in un coinvolgimento costante e totale,che ora ti toglie il fiato, ora ti stringe il cuore, ora ti strappa un sorriso che anche se è l'eco lontana delle risate irrefrenabili dei bei tempi andati, segna comunque un legame forte e tenace, di quelli che resistono agli anni, allo smalto che via via si scrosta, alla brillantezza ogni giorno più opaca, alla freschezza dela gioia di vivere, che lascia spazio ad una maliconia, sottile ma struggente, degli anni che passano- per Camilleri e Montalbano e anche per te.
Andrea Camilleri
La Danza del Gabbiano
Sellerio Editore
13,00 euro

mercoledì 3 giugno 2009

frozen melon

di Alessandra


melone




A.S. La ricetta che segue è quanto di più lontano ci sia dal modo di cucinare di mia mamma. Che è la classica cuoca a istinto, con "la cucina nelle dita", per dirla con Spoon River e che, per chissà quale alchimia, riesce sempre a tirar fuori, da un insieme di "un po' di questo e un po' di quello" piatti assolutamente sublimi. E' la "bella signora" di cui parla Daniela nel post di ieri, che non ha battuto ciglio quando le è stato chiesto di aprire il forziere delle ricette di famiglia per tirar fuori il pezzo più caro e più gelosamente custodito, sacrificato con gioia alla nuova avventura di sua figlia. Oggi la mia mamma compie gli anni e, anche se ne conosco la riservatezza e l'amore per il basso profilo, mi dispiace troppo far finta di niente e tirar dritto, su un blog che è davvero uno specchio della mia vita, molto più reale di quanto non possa apparire. E proprio per questo, non c'è una ricetta ad hoc, ma quello che ho preparato ieri a pranzo, secondo un copione collaudato e confortante, per cui qui sopra ci finisce davvero quello che è transitato prima nelle cucine di casa nostra. Gliela dedico comunque, anche se non è proprio nelle sue corde, perché intanto lo so che capisce....

Auguri, mamma, buon compleanno!

"Natale non è Natale senza regali!" diceva non so più quale delle sorelle March in uno degli incipit più famosi della mia infanzia: e così, parafrasandolo, "l'estate non è l'estate, senza il melone!"- e anche senza un po' di sole, mi verrebbe da dire, ma son sempre la solita che cerca il pelo nell'uovo, mi sa...
A scanso di equivoci, questo è uno dei pochi frutti a cui non sono allergica e per cui, ovviamente non impazzisco. Deve esserci da qualche parte una legge di Murphy- il giurista più citato, in casa mia- che sostiene che tutto ciò che si può mangiare - senza ingrassare, senza aumentare le stelline nei referti delle analisi e senza provocarti eruzioni cutanee che neanche un Gormita- a me tendenzialmente non piace. Si va dallo schifo assoluto per le banane, per le quale pare che abbia dato prova, negli anni, di performance di basso livello, con mani attorno al collo, occhi strabuzzanti, apnee alla Majorca e fughe nei corridoi del liceo, inseguita dai compagni che sventolavano bucce a mo' di mocciovileda, fino a qualche blando storcimento di bocca, di fronte ai Kiwi, al mango ed al melone appunto.
Che però mangio con più regolarità di quanto possiate immaginare, perché è bellissimo da vedere, versatile, ben lavorabile, più buono al gusto che all'olfatto e, soprattutto, mi anticipa le ferie, visto che comincia a circolare sulla nostra tavola verso la fine di maggio e non ci abbandona più fino alle prime avvisaglie di autunno ( non lo stesso melone, si è capito???? perché vabbè che siamo l'unica famiglia ad avere il frigo e il freezer a strati, come Troia, anziché a ripiani, però ogni tanto si consuma...)
A me piace col prosciutto, anche nella versione trendissima della Dani, oppure aggiunto a palline in macedonie o insalate e, in tutta sincerità. abbinato al formaggio non lo avevo mai provato. Al solito, mi son fatta tirare da una foto e, al primo melone che è finito sotto le mie grinfie, si è proceduto con questa ricetta. Che non abbiamo ancora capito cosa sia, nonostante i ripetuti assaggi a cui ieri si sono sacrificati parenti et amici e la metà del mondo che più o meno quotidianamente "passa di qui" e che ieri doveva esprimersi sull'identità di questo bicchierino , che dolce non è, salato nemmeno, ma che è troppo buono per potersene rimanere sulle pagine di una rivista
Alla fine, si è deciso per il pre dessert- che, in tutta onestà, è un po' il refugium peccatorum degli chef, veri o presunti che siano, come mi ostino a pensare dopo il "ciocco-cocco-seppia" di moreno cedroni : una punta di "forte", dato dal caprino semi stagionato, una di acido (lo yogurt), una di dolce (il melone- accentuato da una punta di miele), in un assemblaggio non comune ma ben equilibrato, facile da fare, fresco, scenografico, insolito e gradevole e se volete vado avanti con gli aggettivi, sempre che non siate già partiti alla ricerca forsennata degli ingredienti....


bicchierini ghiacciati di caprino e melone (frozen melon)



bicchierini gelati caprino e melone


per 8 bicchierini
200 g di caprinoi semistagionato
125 g di yogurt greco
2 albumi montati a neve
limone, qualche goccia
350 g di polpa di melone
50 g di miele millefiori o di acacia





Sbriciolare il caprino e montarlo, con una frusta, insieme allo yogurt, fino ad ottenere una crema liscia. A quel punto, incorporare gli albumi montati a neve, con qualche goccia di limone.
Riempire con il composto dei bicchierini monoporzione, per circa metà, e metterli in freezer fino a mezz'ora prima di servire.
Frullare la polpa di melone con il miele e versarlo sui bicchierini, al momento di servire.
Perfetto come pre dessert estivo

Buon Appetito
alessandra

lunedì 1 giugno 2009

filetto di scorfano caramellato con ratatouille allo zenzero

di Alessandra

ratatouille

Mettiamola così: siccome ho imparato, negli anni, che è meglio tacere quando si è furenti, soprattutto se si soffre, come me, della sindrome dei cinque minuti, per cui in 300 secondi netti ti giochi tutto quello che hai accumulato con fatica sul fronte dei rapporti personali e professionali, in 30 lunghi anni, darò prova di grande saggezza applicando lo stesso principio anche alla tastiera del computer. Per cui, nessun diario, nessun resoconto, nessuna riflessione, niente di niente, insomma: neanche la ricetta mielosa che avevo in mente, soppiantata da una tutta diversa, in cui l'agrodolce domina fra i sapori e il coltello fra gli attrezzi.

Che però è servita, oltre che a rimediare una cena in tempi in cui, normalmente, si sarebbe finiti a caffellatte e biscotti, anche a recuperare un consolante lieto fine- e cioè che la sottoscritta, pur essendo dotata di tutti i difetti del mondo, dal sommo all'infimo grado, è però completamente priva di istinto omicida. O, quanto meno, riesce a tenerlo sotto controllo, se ci sono a portata di mano delle verdure....

Ratatouille allo zenzero e filetto di scorfano caramellato

filetto caramellato


per 4 persone
4 filetti di scorfano
un'arancia- scorza e succo
il succo di un'arancia
50 ml di salsa di soia
zucchero di canna
olio EVO

per la ratatouille
1 cipolla
1 costa di sedano
1 peperone giallo
1 melanzana
4 pomodori maturi
basilico fresco
zenzero fresco
olio EVO
sale



Pulire bene tutte le verdure. Affettare la cipolla e tagliare a tocchetti il sedano e farli soffriggere in 4 cucchiai di olio , in una larga padella, a fuoco medio. Aggiungere poi i peperoni tagliati a pezzetti, salare, fare insaporire e cuocere qualche minuto, a recipiente scoperto, mescolando di tanto in tanto. Finire con la melanzana, anch'essa a cubetti. Mescolare, abbassare la fiamma, coprire e far cuocere per una decina di minuti. Dopodiché, aggiungere i pomodori, tagliati a tocchetti e privati dell'acqua e dei semi. Mescolare bene, aggiustare di sale e cospargere le verdure con una bella grattugiata di zenzero. Proseguire la cottura, a recipiente coperto, per altri dieci minuti, non di più: le verdure devono essere cotte, ma croccanti. Spegnere il fuoco, scoperchiare, lasciar riposare qualche minuto e servire, dopo aver aggiunto qualche foglia di basilico fresco, sminuzzata con le mani.

per lo scorfano
grattugiare la buccia dell'arancia e metterla da parte. Spremerne il succo ed aggiungere la stessa quantità d'acqua, più un terzo della quantità complessiva di zucchero di canna. Versare il tutto in un casseruolino dal fondo spesso e, a fiamma bassa, sorvegliando con attenzione, far bollire finché non riduce della metà. A quel punto aggiungere la salsa di soia, mescolare bene, far ridurre ancora un poco e tenere da parte.
Cuocere i filetti dal lato della pelle in padella, con poco olio, irrorandoli con il succo dell'altra arancia, finché non sono cotti.
Salare e servire con qualche goccia di salsa caramellata allo zenzero e la scorza d'arancia grattugiata.